lunedì 21 luglio 2008

Un po’ di storia (magistra vitae), e qualche confronto con l’Europa sul ruolo del notaio nella circolazione degli immobili

di Gaetano Petrelli

Sempre più insistentemente si mette in dubbio – spesso da parte di soggetti non neutrali, interessati al mercato dei servizi immobiliari ritenuto “ricco” – l’utilità del notaio, e quindi della sua prestazione di professionista e pubblico ufficiale, ai fini della redazione degli atti soggetti a pubblicità immobiliare o commerciale. In più sedi, ed anche su questo blog, sono state esposte da parte del Notariato, ma anche da parte di esponenti dell’Accademia, della Magistratura e del mondo delle professioni, le ragioni che militano invece per il mantenimento del ruolo di garanzia di legalità che è attribuito dal nostro ordinamento ai notai (che per inciso fino ad oggi ha funzionato benissimo). In queste righe vorrei invece “divagare”, tornando indietro di qualche centinaio di anni per capire “come si è arrivati al notaio” (riprendendo molto in sintesi i risultati di una mia ricerca, “L'autenticità del titolo della trascrizione nell'evoluzione storica e nel diritto comparato”, pubblicata sulla Rivista di diritto civile, 2007, I, p. 585).
Una volta non esisteva la trascrizione immobiliare. Se Tizio vendeva a Caio e poi vendeva nuovamente a Sempronio (o ipotecava a suo favore) lo stesso immobile, con due scritture private (destinate a rimanere occulte in assenza di pubblicità legale), prevaleva il primo acquirente in ordine di data (prior tempore potior iure). Si può capire come l’incertezza regnasse sovrana, e – come testimoniano autorevoli studiosi dell’epoca – perché i tassi di interesse fossero vertiginosamente elevati (a fronte di un rischio del credito ipotecario enorme). Fu così che, all’epoca della rivoluzione francese, la legge dell'11 brumaio, anno VII (1° novembre 1798) istituì la trascrizione immobiliare; consentendo peraltro che potessero essere trascritte anche semplici scritture private, non controllate da nessun pubblico ufficiale, per cui nessuna garanzia vi era riguardo alla loro provenienza e validità. La scelta venne ribadita dalla successiva legge francese del 23 marzo 1855, mentre in Belgio, la legge del 16 dicembre 1851, si richiese obbligatoriamente la forma notarile degli atti da trascrivere, al fine di evitare il contenzioso e di porre su basi sicure il credito fondiario. Un autorevole civilista dell’epoca, il Laurent, ponendo a confronto le due diverse soluzioni belga e francese, scrisse nel suo celebre trattato di diritto civile che solo la prova del tempo avrebbe dimostrato quale sistema era il migliore. Ebbene, dopo aver sperimentato, nei successivi decenni, i problemi e le liti derivanti da scritture private invalide, inefficaci, false, imprecise nei contenuti e difficili quindi da interpretare, il legislatore francese, con decreto del 30 ottobre 1935, si allineò alla soluzione belga, richiedendo obbligatoriamente ai fini della trascrizione l’atto notarile. Evidentemente, quindi, la soluzione “liberale” non aveva funzionato. Dai lavori preparatori, e dai commenti dottrinali dell’epoca, si ha un’idea del contenzioso e dell’incertezza nella circolazione degli immobili a cui venne posto così rimedio. Oltretutto, dagli stessi lavori preparatori si scopre che le scritture private di vendita immobiliare erano spesso preparate da professionisti e “praticoni”, con costi il più delle volte superiori alle parcelle dei notai (che avevano invece tariffe rigide da rispettare). Tutto ciò in sistemi giuridici in cui la trascrizione non produceva e non produce “pubblica fede” (e non assegnava quindi al funzionario preposto, il conservatore dei registri immobiliari, funzioni di controllo). Anche se la trascrizione ha progressivamente assunto un ruolo importante nel garantire “affidabilità” alle risultanze dei pubblici registri, e nel dare sicurezza a chi acquista diritti sugli immobili (sicurezza che solo il controllo notarile preventivo garantisce).
In altri sistemi giuridici europei (cito per tutti quelli tedesco, austriaco, svizzero, spagnolo, portoghese, inglese, olandese) la pubblicità immobiliare comporta attribuzione di “pubblica fede” alle risultanze dei registri, e comporta quindi una sicurezza ancor maggiore. In questi sistemi, il correlativo “principio di legalità” comporta che il funzionario o il magistrato che sovrintende ai registri immobiliari effettui un controllo relativo alla legalità degli atti ed all’esistenza dei poteri di rappresentanza di chi ha sottoscritto gli atti stessi. Ebbene, nella quasi totalità degli ordinamenti europei, pur in presenza di un così importante controllo di legalità svolto dal pubblico funzionario, si richiede obbligatoriamente e in aggiunta l’atto notarile ai fini dell’iscrizione: ciò perché vi sono degli aspetti attinenti alla “legalità” che solo il controllo preventivo del notaio può assicurare (si pensi all’identità personale, alla capacità di agire delle parti, all’inesistenza di vizi della volontà: cose che vanno verificate al momento della formazione dell’atto, e non successivamente). In Inghilterra, dove pure non esiste la figura del notaio, vi è quella del licensed conveyancer, che finisce per svolgere un ruolo analogo (ma, in assenza di un obbligo di accertamento dell’identità personale, sono state segnalate frodi e falsità). Frodi nelle iscrizioni nei registri immobiliari sono presenti, e sono state autorevolmente segnalate anche nei sistemi scandinavi, nei quali non esiste il notariato latino ("Indeed, in the Nordic systems, there have been reports on fraudulent registrations achieved by fake documents": Real Property Law and Procedure in the European Union, General Report, by C.U. Schmid e C. Hertel, 31.5.2005, p. 31, in http://www.iue.it/LAW/ResearchTeaching/EuropeanPrivateLaw/).
Se poi si dà uno sguardo fuori d’Europa, in particolare agli Stati Uniti, si constata come l’inesistenza di pubblici registri affidabili abbia condotto a prosperare le compagnie di assicurazione: la Title insurance accompagna praticamente ogni vendita immobiliare, con il bel risultato che, oltre al costo della consulenza legale (un avvocato per il venditore ed uno per il compratore, che costano complessivamente più di un solo notaio per entrambi), vi è il costo dell’assicurazione, e tutto ciò per ottenere, alla fine, solo un risarcimento dei danni subiti se si scopre che l’immobile era già ipotecato o di proprietà di altri. Ma prevenire non è meglio che curare? E poi, si riesce veramente a curare in un sistema in cui regna l’incertezza? Se scaviamo a fondo nella vicenda dei mutui subprime che hanno messo in ginocchio l’America, a causa dell’assenza di controlli, non impariamo la lezione? E considerati i lauti profitti delle compagnie assicuratrici, ci si potrebbe chiedere a questo punto: se si elimina il notaio, cui prodest?
In definitiva, la storia ed il diritto comparato ci insegnano che, laddove si è voluto fare a meno del notaio, ciò è avvenuto con rilevantissimi costi di transazione in termini di insicurezza e di aumento dei tassi di interesse, e del pagamento di parcelle e provvigioni di intermediari (come i mediatori immobiliari nei sistemi scandinavi) certo non preparati come i notai, o di premi di assicurazione certo non modesti. Ancora una volta la domanda: a beneficio di chi?

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