mercoledì 1 febbraio 2012

L’ILLIMITATA IRRESPONSABILITA’ DELLA SRL SEMPLIFICATA

(ovvero: “della società di capitali… senza capitale”)

di Daniele Minussi

Evviva! Finalmente abbiamo la srl senza i costi del notaio! Tutto senza spese e senza costi inutili!

Ma è proprio vero?

Anzitutto occorre chiarire a cosa serviva (e serve ancora per le srl non semplificate) il notaio.

Le funzioni in materia sono essenzialmente due.

1) Si tratta anzitutto di dar forma alla volontà dei privati. Le parti di un contratto sanno quello che vogliono soltanto da un punto di vista “laico”. Non conoscono la complessità delle norme giuridiche, dei divieti di legge, delle conseguenze che discendono dall’aver compiuto certe scelte piuttosto che altre, delle liti che possono insorgere in conseguenza di opzioni errate. Il notaio è, prima di tutto, colui che ascolta, consiglia, aiuta in queste scelte e adegua l’intento delle persone che altrimenti “balbetterebbero” da un punto di vista giuridico.

La cosa è perfettamente normale. Capita a tutti noi e non c’è da stupirsene. Se ho mal di fegato e voglio curarmi vado dal medico. Lo scelgo bene e non mi sognerei mai di tagliarmi la pancia da solo perché così “è senza spese”.

Personalmente “balbetterei” nel fare un’operazione chirurgica.

Ma non basta: quello di cui abbiamo riferito tocca i rapporti tra le parti.

C’è una cosa in più che fa il notaio. Si tratta della funzione pubblica.

2) La pubblica fede è un bene tanto evanescente quanto di primaria importanza. Noi tutti possiamo comprare una casa, costituire una società, agire nel mondo giuridico perché ci muoviamo in un ambiente affidabile. La fiducia è una cosa importantissima. Se io non potessi fidarmi di acquistare un appartamento perché le risultanze dei pubblici registri sono incerte o irregolari, questo bene così importante e così poco considerato (come la salute: quando ce l’hai non sai quale fortuna hai!) verrebbe fatalmente meno. Ne sanno qualche cosa gli americani con i loro mutui subprime e con le loro cartolarizzazioni effettuate sulla base di trust marchiati tripla A garantita. Il notaio è il custode di questo bene, di questa pubblica fede. Non basta infatti che egli abbia ben consigliato le parti e ne abbia adeguato le volontà alle regole giuridiche. Occorre anche che sia esercitata una funzione di controllo di legalità e che sia garantita l’osservanza dei principi che regolano i pubblici registri. Per il tramite di essi e delle risultanze pubblicitarie possono avere luogo ogni giorno decine di migliaia di atti che ingenerano nelle persone l’assoluta fiducia che ciò che vedono sia conforme al diritto ed alla realtà. Ma si sa: una foresta che cresce ogni giorno non fa notizia….

Queste premesse sono essenziali per comprendere la portata della nuova normativa in tema di società a responsabilità limitata “semplificata”. Passiamo dalla teoria alla pratica. Cosa significa costituire una società?

In primo luogo vuol dire consigliare le parti al meglio. Non basta dire che Tizio e Caio vogliono “fare una società”. Ci sono regole. Non sono poche, non sono semplici. Mai sentito parlare di clausole di prelazione? Di libera circolazione delle quote? Di decisioni dei soci? Di quorum costitutivi e deliberativi? Ma cosa ne sanno le persone non esperte di leggi?

È giocoforza pensare dunque che, nonostante non sia più necessario rivolgersi al notaio, le parti a qualcuno si rivolgeranno (al netto dei casi di “fai da te” che penseranno di poter scaricare dal web qualche formulario standard). Ma questo qualcuno chi sarà? C’è da ritenere che non sarà un salumiere o un carrozziere (sia detto con il massimo rispetto per le due categorie che, tra l’altro, godono di ben maggiore rispetto dei notai, non essendo venuto ancora in mente a nessuno di varare “salamelle semplificate”). Se è così, si può ragionevolmente pensare che questo “qualcuno”, asseritamente esperto del settore, presterà la propria opera gratuitamente? È difficile rispondere affermativamente…

Non basta. Abbiamo sommariamente dato conto dell’aspetto interprivato, ma non abbiamo detto ancora nulla di quello della rilevanza pubblica, della importanza di questa situazione in riferimento alla pubblica fede.

Poiché va detto chiaramente che la società a responsabilità limitata deve essere iscritta nel registro delle imprese. Anzi: trae vita con l’iscrizione in detto registro, trattandosi per l’appunto di pubblicità costitutiva. Dal momento che tutte le vicende modificative delle regole fissate nell’atto costitutivo, della vita sociale, dell’estinzione, della liquidazione devono essere oggetto di adempimenti pubblicitari, chi si occuperà di tutto ciò? Fino ad ora lo faceva il notaio e non solo o non tanto nell’interesse delle parti, bensì anche nell’interesse pubblico di garantire la correttezza delle risultanze dei pubblici registri. Il notaio è una persona, laureata in giurisprudenza, che ha superato un concorso per accertare che abbia i requisiti per fare proprio questo…

Ed ora con la nuova srl semplificata? Se ne occuperanno gli amministratori. E se sbagliano? E se non lo sanno fare? Hanno fatto un corso? Hanno studiato? Hanno superato un esame?

Il problema è che di solito chi sbaglia dovrebbe pagare, ma qui rischiamo di pagare tutti, perché la pubblica fede è un bene di tutti e non soltanto di alcuni e non è disposizione di nessuno ed a nessun prezzo.

Queste sono notazioni di carattere generale, ma è utile un confronto analitico della nuova disposizione ed un’analisi puntuale.

Ecco il testo della nuova norma che va ad inserirsi nel codice civile:

«Articolo 2463-bis - (Società semplificata a responsabilità limitata)

1. La società semplificata a responsabilità limitata può essere costituita con contratto o atto unilaterale da persone fisiche che non abbiano compiuto i trentacinque anni di età alla data della costituzione. L'atto costitutivo deve essere redatto per scrittura privata

(l’uso del “deve” rende obbligatorio l’uso del formalismo della scrittura privata o sarà possibile anche l’atto pubblico? Dal punto di vista letterale parrebbe che quest’ultimo sia addirittura vietato, con il che sarebbe inaugurata una nuova tipologia di forma che, per comodità potremmo chiamare “scrittura privata coatta”)

e deve indicare: 1) il cognome, il nome, la data, il luogo di nascita, il domicilio, la cittadinanza di ciascun socio; 2) la denominazione sociale contenente l'indicazione di società semplificata a responsabilità limitata e il Comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie; 3) l'ammontare del capitale sociale non inferiore a un euro sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione. Il conferimento deve farsi in denaro;

(le indicazioni sono quelle d’uso, ma non si riesce a nascondere il sorriso in riferimento all’ammontare del capitale sociale. Giova rilevare che il capitale sociale, che viene versato almeno per una parte presso un istituto di credito prima della costituzione della società, serve a dare un minimo di garanzia per i creditori sociali. Essi possono fare affidamento sulla capienza patrimoniale e sulla serietà economica dell’iniziativa in funzione di tale consistenza (anche se va detto che da tempo i 10.000 euro che costituiscono la misura minima del capitale risultano largamente inadeguati). Cosa significa che il capitale sociale non può essere inferiore ad un euro e, per di più, che deve essere interamente versato? Fa tremare le vene dei polsi poi pensare che debba essere effettuato in denaro…

Poi, una volta costituita, la società dovrà essere finanziata. Possiamo ben immaginare che, forte di un capitale sociale atto a consentire l’acquisto di (quasi) un caffè, il nostro “giovane” infratrentacinquenne si rechi presso un istituto bancario che sarà lieto di affidarlo in maniera adeguata all’impresa. Il vero nodo è questo: cosa ci facciamo con un capitale sociale di un euro? La risposta sarà che la banca si farà concedere una fidejussione da parte del socio, ammesso che costui abbia qualche bene al sole. E allora quale utilità ha avuto costituire una srl semplificata?)

4) i requisiti previsti dai numeri 3), 6), 7), 8) del secondo comma dell'articolo 2463; 5)luogo e data di sottoscrizione. L'atto costitutivo deve essere depositato a cura degli amministratori entro quindici giorni presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, allegando i documenti comprovanti la sussistenza delle condizioni previste dall'articolo 2329.

(qui la norma ipotizza che gli amministratori (chi saranno? Esperti del settore?) abbiano la competenza di depositare entro 15 giorni l’atto costitutivo presso il registro delle imprese e che alleghino diligentemente i documenti comprovanti la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 2329 del codice civile, che a propria volta fa riferimento ad ulteriori norme e disposizioni la cui portata non è certo perspicua per soggetti non dotati delle cognizioni tecniche del caso…)

L'iscrizione è - effettuata con unica comunicazione esente da diritti di bollo e di segreteria nella quale si dichiara il possesso dei requisiti di cui al presente articolo. L'ufficiale del registro deve accertare la sussistenza dei requisiti richiesti e procedere all'iscrizione entro il termine perentorio di quindici giorni.

(forse che l’”ufficiale del registro” sia stato investito del compito di controllo precedentemente affidato ai notai? Ne avranno la responsabilità? Va detto al riguardo che fino ai primi degli anni 2000 l’atto costitutivo di srl era, dopo la stipula da parte del notaio, affidato al controllo di omologazione del tribunale. Questo controllo è stato eliminato (o meglio: ridimensionato) con la legge 340/2000 che sostanzialmente ha affidato al notaio tale funzione. Ed ora?

Si applica l'articolo 2189. Decorso inutilmente il termine indicato per l'iscrizione, il giudice del registro, su richiesta degli amministratori, verificata la sussistenza dei presupposti, ordina l'iscrizione con decreto.
II verbale recante modificazioni dell'atto costitutivo deliberate dall'assemblea dei soci è redatto per scrittura privata e si applicano i commi terzo e quarto.

(qui si deve ritenere che il controllo di legittimità di quanto deliberato sia ancora una volta affidato all’ “ufficiale del registro”. Va osservato che v’è un limite minimo per l’ammontare del capitale, ma non v’è un limite massimo né v’è alcun limite dimensionale o di oggetto con riferimento all’attività. Sarà dunque possibile che la società deliberi aumenti di capitale da milioni di euro, lanci prestiti obbligazionari, effettui operazioni di fusione e di scissione…chi assicurerà il controllo del rispetto delle regole?Insomma: un transatlantico in mano a ragazzi senza patente? È già immaginabile che lo schema si presti a frodi, utilizzando “giovani” come schermo per dar vita ad operazioni che altrimenti sarebbero assoggettate a controlli più stringenti)

L'atto di trasferimento delle partecipazioni è redatto per scrittura privata ed è depositato entro quindici giorni a cura degli amministratori presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. Quando il singolo socio perde il requisito d'età di cui al primo comma, se l'assemblea convocata senza indugio dagli amministratori non delibera la trasformazione della società, è escluso di diritto e si applica in quanto compatibile l'articolo 2473-bis. Se viene meno il requisito di età in capo a tutti i soci gli amministratori devono, senza indugio, convocare l'assemblea per deliberare la trasformazione della società, in mancanza si applica l'articolo 2484.

La denominazione dì società semplificata a responsabilità limitata, l'ammontare del capitale sottoscritto e versato, la sede della società e l'ufficio del registro delle imprese presso cui questa è iscritta devono essere indicati negli atti, nella corrispondenza della società e nello spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato con la rete telematica ad accesso pubblico. Salvo quanto previsto dal presente articolo, si applicano alla società semplificata a responsabilità limitata, le disposizioni di questo capo in quanto compatibili.».

In conclusione: se fosse ammissibile che uno come me si recasse nelle corsie di un ospedale e si mettesse ad operare (o ad auto operarsi) senza aver fatto gli studi che consentono tutto ciò, senza aver sostenuto con successo gli esami che attestano di avere le competenze del caso e senza vincere un concorso ritengo che la cosa desterebbe scandalo e riprovazione.

Scommetto anzi che mi arresterebbero.

E invece in questo caso no.

Perché questa differenza?

C’è un mondo tangibile e visibile. Tutti possono vedere, toccare, farsene una ragione. C’è un mondo di concetti, di strutture logiche, di regole. Il mondo del diritto è uno di questi. Pochi ne capiscono, pochi ne intendono la portata. Sarebbe compito di questi ultimi far capire agli altri come stanno le cose e non barattare un facile applauso da parte di chi non sa per un poco di consenso.

giovedì 16 dicembre 2010

Mobilità sociale, confronti internazionali e leggende metropolitane

di Alberto Forte

Appaiono con inquietante ritmicità articoli giornalistici sulla “mobilità sociale” nel nostro Paese, inevitabilmente farciti dalla raccomandazione di eliminare la “casta notarile”.

Troppo spesso, si tratta di luoghi comuni mal ruminati e senza alcuna base informativa. In effetti, una seria informazione avrebbe bisogno di dati e reperire i dati costa fatica; dunque, la nostra stampa preferisce evitare questo sforzo.

Chi volesse farsi una idea delle informazioni disponibili, troverebbe interessante lo studio di Patrizio Piraino, economista dell’Università di Siena, Comparable Estimates of Intergenerational Income Mobility in Italy (scaricabile da http://www.bepress.com/bejeap/vol7/iss2/art1/?sending=10030).

Ecco alcune conclusioni.

Non esistono dati italiani che abbiano sinora consentito confronti tra redditi dei genitori e dei loro figli.

Recenti innovazioni nella tecnica econometrica permettono di usare dati dell’indagine della Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie italiane.

I confronti internazionali sono molto difficili, perché dipendono dai metodi di misurazione, dalle età considerate, da altri criteri di selezione Sulla base dei dati disponibili, la “rigidità sociale” italiana assomiglia molto a quella degli Stati Uniti e del Regno Unito; oltre il 50% del vantaggio dei genitori “passa” ai figli. Molto più “mobile” è il mondo scandinavo (Svezia) ed in Canada.

Considerando le distorsioni dovute ai (pochi) dati disponibili, nell'insieme dei Paesi più avanzati, l'Italia appare nel gruppo dei Paesi ad "alta resistenza": la posizione economica delle famiglie ricche resta stabile con il passare delle generazioni. Allo stato delle indagini statistiche, questa affermazione è da considerarsi come una ipotesi da valutare, e non come una certezza; si tratta di una opinione conforme a quelle di sociologi ed economisti che definiscono l'Italia una società "rigida".

Molte possono essere le spiegazioni per la scarsa mobilità: il fenomeno dell'eredità contribuisce alla trasmissione del benessere alle generazioni successive, mediante una istruzione migliore per i figli dei ricchi. Questo effetto non appare determinante, a conferma dell'ipotesi secondo la quale, pur con livelli di formazione scolastica formalmente equivalenti, i risultati economici dipendono dal patrimonio delle famiglie di origine; non si verificherebbe un effetto di livellamento del sistema scolastico, pur se largamente affidato allo Stato.

Possono agire in questo senso anche le forti barriere all'ingresso presenti per molte occupazioni nel mercato del lavoro italiano. L'effetto sulla mobilità sociale dell'istruzione, infatti, dipende da una serie di vantaggi immateriali, che genitori ricchi possono trasmettere ai propri figli: motivazioni e mentalità, oltre che forti relazioni sociali.

Nel più recente articolo The Intergenerational Transmission of Employers appena apparso sul Journal of Labor Economics, January 2011, Vol. 29, No. 1: 37-68, Miles Corak e Patrizio Piraino studiano il caso del Canada, Paese considerate molto “mobile” nei confronti internazionali.

Ecco i risultati del loro lavoro.

8. Conclusion

We document the intergenerational transmission of employers between fathers and sons with a large Canadian based administrative data set … We find that by the age of 33

approximately 4 in 10 men have worked at some point with an employer who had also at some point employed their father. Much of this intergenerational transmission of employers occurs during the teen years, but as a lower bound about 6% (and as an upper bound 9%) of 33 year olds have as their main employer the same employer their fathers worked for some 15 to 20 years earlier. These percentages are higher than would be expected by a random allocation of sons to firms in specific industrial, regional, and sub regional labour markets, and reflect particular characteristics of their family background.

The intergenerational transmission of employers is much more likely at the top of the earnings distribution. Close to 70% of sons of top percentile fathers had at some point the same employer as their fathers, and for 15% their main employer at the age of 33 was the same employer their father worked for during their teen years.

Our results from a series of linear probability models are consistent with a set of hypotheses we draw from literature. First, the generational transmission of employers is higher when fathers have self-employment income, and higher for fathers with higher earnings and incomes. In particular, the probability that sons will be employed by the same employer as their father is distinctly non-linear, being much higher for the highest earning fathers. Second, self-employment also significantly tightens the relationship between parental earnings and intergenerational transmission of employers.

The literature on the degree of generational earnings mobility is oftentimes linked to the growing research on early childhood development, the formation of values and preferences, and their impact on readiness to learn and pro-social behaviour that are all important antecedents to educational attainment and ultimately labour market success.

Our research suggests that it is also important to understand the nature of labour markets and the way in which young adults interface with them during the transition to adulthood, and ultimately in final career choices. Parents may also be in a position to influence this process by offering contacts and knowledge of employment with particular employers, and in the extreme exercising direct control. This may be an important complement to the non-monetary investments early in life. The capacity of parents to play a role in a child’s transition to the labour market varies according to their place in the earnings distribution, and this may also be a part of the explanation for the degree to which children may have similar earnings as their parents, a possibility that future research with data from other countries should recognize.

Una seria ricerca sulle categorie professionali italiane è ancora da promuovere. Gli ingegneri hanno cominciato ad esaminare il loro caso, affidando al Professor Tullio Jappelli uno studio che conclude con percentuali non dissimili da quelle dei notai: una sintesi in

http://www.professionisti24.ilsole24ore.com/art/Professionisti24/Metabox/Lavoro/INARCASSA_quaderno_7.pdf

Chissà se interessa approfondire anche per i notai ...

P.S.: non ho figli che si propongano di fare i notai :-)

giovedì 18 novembre 2010

La pace in famiglia salvata dai notai

(da http://www.corriere.it/italians/ - Beppe Severgnini)

Il numero di famiglie in rotta per questioni ereditarie sta crescendo. Non ho statistiche, solo molte testimonianze e alcune brutte sensazioni. Sono vicende tossiche che avvelenano la vita. Occorre un antidoto. Prima di proporlo, cerchiamo di capire da dove arriva il veleno. Cos'è cambiato? Il rapporto di forza economica tra le generazioni. Ci stanno lasciando, piano piano, gli italiani nati negli anni Venti, la grande generazione che ha rimesso in piedi il Paese. Col lavoro e la passione ha creato, com'è giusto, piccoli e grandi patrimoni. Ora è tempo di lasciarli ai figli, nati negli anni Cinquanta e primi anni Sessanta. Ma i figli non sono vincenti come i padri e la madri; per ora hanno pareggiato, e non si mette bene per il finale di partita. Lo dico per esperienza e con dispiacere: è la mia generazione. Una generazione che ha amato più la politica dell'economia. Ma è con i soldi, non con i sogni, che si compra l'appartamento a Milano e la casa al mare.
Un'eredità, oggi, può cambiare la vita. In assenza di buoni redditi, s'aspetta l'apertura del testamento con troppa ansia. E quando dentro non sta scritto ciò che si sperava, scatta la rissa familiare. Fratelli e sorelle contro, cognati e cognate alle loro spalle suonano tamburi di guerra. Quando non c'è testamento, è peggio. Provvede la legge (successione legittima), che non sa quanto un figlio tenesse a una proprietà, o come una figlia avesse accudito il padre.
E qui entrano in gioco i notai. Ricevere un testamento è facile e veloce (anche se gli olografi diminuiscono, chissà perché). Aiutare a scriverlo richiede tempo, pazienza, esperienza e saggezza. Occorre conoscere la famiglia del testatore, capirne le attività, le aspettative e le sensibilità. Vorrei sapere quanti notai lo fanno, oggi, e quanti cittadini lo chiedono. Eppure è questo il miglior antidoto contro i tribunali, la tomba dell'amore familiare.
Vedete, siamo tornati a parlare di notariato, di quanto sia importante, oggi e domani: anche in materia di successioni (se la "generazione precaria" nata negli anni Ottanta/Novanta non riuscirà a comprarsi la casa, se l'aspetterà da noi). Di notai, partendo da uno scandaloso concorso, abbiamo ragionato proprio qui, due settimane fa. Molti di loro hanno capito il senso del mio intervento; c'è addirittura chi ha ringraziato. Alcuni, invece, l'hanno giudicato un'entrata a gamba tesa. I problemi vanno risolti all'interno della categoria, dicono. I cittadini non c'entrano, i media meno che mai. Be', se la strategia fosse questa, procuratevi le ali, cari notai: perché il precipizio sarebbe già iniziato. Ma non siamo a questo punto. Molti di voi hanno i piedi per terra, e sanno cosa fare per meritarsi i redditi e il prestigio che la società vi riconosce. Per esempio, assistere padri e madri, e aiutarli a scrivere testamenti buoni e saggi. Lasceranno un mondo migliore, e una famiglia in pace.

domenica 5 aprile 2009

Quanto vale la sicurezza dell'acquisto immobiliare?

La soluzione razionale del dibattito sull’istituzione giuridica definita “notariato latino” richiede una analisi costi / benefici del notariato, che compari i benefici collettivi derivanti dalla certa osservanza delle regole poste dall’ordinamento ed i costi dell’intervento obbligatorio di un gatekeeper (VanDenBergh).

L’esistenza di riserve di legge per particolari compiti professionali dipende, tra le altre motivazioni, dalla capacità di una certa figura professionale di assumere la funzione di “gestione del rischio”, fondamentale per l’efficienza dell’economia; in questi anni, altri Paesi hanno subito ingentissimi danni dall’incapacità di intere categorie professionali a fronteggiare i compiti di tutela della fede pubblica loro affidati (Shiller).

Il trade off tra regolamentazione e regole della concorrenza può risultare equo ed utile all’intero sistema, quando sia confermata la capacità di concentrare sul notaio la responsabilità del corretto esercizio della funzione delegata dallo Stato.

E’ tempo di cominciare a misurare l’importanza economica dell’apporto di “affidamento” del notariato: un primo esempio viene dagli Stati Uniti, Paese che non conosce l’istituto notarile ma ha sviluppato una forte sensibilità all’analisi dell’efficienza economica degli strumenti giuridici.
In uno studio apparso sull’ultimo numero della rivista Real Estate Economics, due economisti americani David M. Brasington e Robert F. Sarama, Deed Types, House Prices and Mortgage Interest Rates (in
http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1189953) hanno calcolato l’influenza sul costo delle abitazioni del tipo di contratto di acquisto esistente.
La loro analisi è basata su ben trentasettemila compravendite di case in cinque aree metropolitane, che sono state trattate con una contrattualistica multiforme: ben quindici diversi modi di garantire l’acquirente sulla bontà del suo acquisto.

I risultati sono estremamente interessanti: avere una completa garanzia sulle modalità di verifica del titolo di proprietà aumenta il prezzo di una casa per il 52,4%!!!

L’indagine dimostra che questa differenza di prezzo non dipende dall’assicurazione del titolo (title insurance), ma da altre circostanze che riguardano le modalità della compravendita dell’abitazione

I due ricercatori segnalano anche una importante ricaduta di questo fenomeno: poiché le persone con redditi più bassi si accontentano più frequentemente di accettare minori garanzie nell’acquisto dell’abitazione, la loro capacità di accedere al credito bancario è ridotta dal difetto del titolo di acquisto. Conseguentemente, la loro rinuncia alle garanzia provoca il pagamento di tassi di interesse più alti.

Così si verifica che le fasce di popolazione meno abbienti tendono a sottovalutare l’importanza delle garanzie nella compravendita; conseguentemente i meno abbienti sopportano più gravi rischi e scontano maggiori costi nell’accesso al credito.

Sarebbe interessante verificare quanto migliorerebbe la situzione prevedendo una garanzia notarile, che i giudici considerano di "pace della mente".

Buon lavoro,
Alberto Forte

giovedì 2 aprile 2009

L'importanza dell'affidabilità documentale/2

Si fa un gran parlare, ultimamente (il tema sarà affrontato anche nella riunione del G20 che si tiene oggi a Londra), di lotta ai c.d. paradisi fiscali, luoghi che consentirebbero di agevolare il riciclaggio, l'evasione fiscale e quant'altro. E si prospettano sanzioni nei confronti di tali paesi.
Un articolo, pubblicato sull'Economist del 26 marzo 2009, cita una ricerca, condotta dal prof. Jason Sharman della Australia Griffith University, in netta controtendenza rispetto all'opinione comune.
Quante volte, sulla stampa e altrove ci si è lamentati dell'eccessiva burocrazia italiana? Quante volte si è detto che, ad esempio negli Stati Uniti e in Inghilterra, per costituire una società sono sufficienti pochi dollari e pochi minuti e che il tutto può avvenire via internet?
La ricerca mostra come la totale assenza di controlli sull'affidabilità dei documenti prodotti, consenta, in particolare negli Stati Uniti, di creare società completamente anonime, delle quali non si conosce il "titolare effettivo" (es. in Delaware, Nevada e Wyoming).
Si parla in proposito di "ask-no-question approach".
Il prof. Jarman ha provato, con a disposizione un budget di 10.000 dollari e utilizzando esclusivamente Google, ad aprire conti correnti bancari anonimi e costituire società anonime in 45 paesi. Ci è riuscito 17 volte e in 13 casi si è trattato di paesi appartenenti all'OECD. In Inghilterra, ad esempio, in 45 minuti, sempre via internet, ha costituito una società senza dare prova della propria identità, emettendo titoli al portatore e nominando amministratori fiduciari. In altri casi ha costituito una società sulla base della sola copia scannerizzata della propria patente di guida.
Invece, sorprendentemente, Svizzera e Bermuda hanno richiesto, per l'apertura di un conto corrente, di produrre copia autenticata da un notaio del proprio certificato di nascita.
La conclusione è che i paesi OECD sembrano più "lassisti" in punto di regolamentazione documentale, rispetto ai classici paradisi fiscali e gli Stati Uniti sono il peggiore, addirittura peggio di Liechtenstein e Somalia.

mercoledì 1 aprile 2009

L'importanza dell'affidabilità documentale

Dove si sottolinea il nesso tra crisi finanziaria e crisi documentale, argomento sul quale ritorneremo con un'altra segnalazione nei prossimi giorni.


Un mare di documenti tossici

di Maurizio Ferraris

(da Il Sole 24Ore del 29 marzo 2009)


Supponiamo che a un certo punto scoprissimo che non tutti i cedolini dello stipendio che riceviamo siano esatti, e che qualche volta (diciamo, nel 7% dei casi) siano falsi, cioè non corrispondano alle ore di lavoro effettivamente prestate e al salario pattuito. Immagino che il nostro primo istinto sarebbe di chiedere delle verifiche, ma supponiamo che anche il 7% delle verifiche fossero documenti falsi, e che questa percentuale si estendesse a tutti gli altri documenti con cui abbiamo a che fare: carte di credito, certificati di proprietà, azioni, carte di identità. E' evidente che diventeremmo a dir poco scettici nei confronti del restante 93% e cadremmo in preda prima allo sconcerto, poi al panico. Un panico che assumerebbe dimensioni globali qualora scoprissimo che il resto del mondo si trova esattamente nelle nostre condizioni.
Come ha sottolineato la stragrande maggioranza degli esperti, questo è ciò che è avvenuto nell'attuale crisi finanziaria. Se cerchiamo di concettualizzarlo filosoficamente, ci rendiamo conto che investe la sfera di quella che ho proposto di chiamare "documentalità", in quanto caratteristica essenziale degli oggetti sociali. Come ho argomentato estesamente in Dove sei? Ontologia del telefonino (2005), questi oggetti (cose come i soldi, i debiti, i passaporti, le promesse) rispondono alla legge "Oggetto = Atto Iscritto".
Vale a dire che sono il risultato di atti sociali - tali cioè che coinvolgano almeno due persone - e che devono essere iscritti, su carta, su un file di computer o anche semplicemente (si pensi a transazioni molto semplici o molto segrete) nella testa delle persone. Se il documento non c'è, allora scompare l'oggetto sociale o non sorge mai, ed è per questo che le economie povere di documenti sono anche scarsamente sviluppate. Se viceversa il documento non è garantito, ecco che si fa avanti la crisi.
In una intervista e in un articolo apparsi su "Newsweek", lo scienziato politico Hernando De Soto, direttore dello Institute for Liberty and Democracy e consulente economico di molti governi, conforta questa ipotesi. La caratteristica centrale della crisi è proprio il fatto che non si sia in grado di quantificare il numero di documenti tossici che circolano nel mondo. Christopher Cox, ex presidente della Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti calcola l'ammontare dei titoli tossici a uno o due milioni di dollari, il segretario del tesoro Timothy Geithner dice che sono tre o quattro. In realtà nessuno sa esattamente quanti siano e quali organismi finanziari, banche e assicurazioni, li detengano. Così, tra un banchiere di Manhattan e l'abitante di una favela viene a stabilirsi almeno un punto in comune. Quest'ultimo non ha titoli di proprietà, è un sans papiers; l'altro ne ha, ma, in parte, non sono affidabili, e questa incertezza viene a investire la sfera dei documenti nel loro insieme. Non mi è facile condividere l'idea di De Soto che negli Stati Uniti tutto - tranne i derivati - sia legalmente documentato, se è vero che nel dicembre scorso, a New York, un giornalista del New York Daily News è riuscito a rubare per un giorno, con falsi documenti, l'Empire State Building, e che negli Stati Uniti, dove non esistono i notai, sono circa sessantamila le proprietà che passano di mano grazie a falsa dichiarazioni. Senza considerare poi che, come sostiene il premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz in The Three Trillion Dollar War. The true cost of the Iraq conflict (pubblicato con Linda Bilmes nel 2008), un particolare lassismo nei controlli documentali è stato funzionale al finanziamento del debito pubblico per le spese militari americane. Il punto concettualmente importante resta tuttavia il nesso tra crisi finanziaria e crisi documentale.
Sotto il profilo degli interventi e dei rimedi, la parola spetta ovviamente agli economisti e ai politici, che non a caso si orientano sulla trasparenza delle regole di creazione dei documenti, un aspetto su cui si è a giusto titolo molto insistito sul Sole 24 Ore (per restare agli interventi più recenti, Galimberti 24 gennaio, Foglia e Luzzi 19 febbraio, Santamaria 21 febbraio, Bastasin 25 febbraio, Micossi 28 febbraio, Longo 1 marzo). Per il curioso di filosofia resta da riflettere sul fatto che, nel definire la scrittura un pharmakon, un rimedio ma anche un veleno, Platone profetizzava, con argomenti ancora validi, l'invasione di carta tossica con cui devono misurarsi i governanti postmoderni.