mercoledì 27 agosto 2008

Alcuni brevi quesiti in materia di cessione di quote

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di Ignazio Padolecchia

L'art. 36, comma 1-bis, del D.L. 112/2008, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, consente ai soggetti abilitati al deposito dei bilanci di inviare al Registro delle Imprese gli atti di cessione di quote di s.r.l. sottoscritti con firma digitale. Come è noto, è stata proposta un'interpretazione di parte notarile, fatta propria dalla redazione di questo blog, secondo cui tale documento informatico, per poter essere inviato al Registro delle Imprese, deve comunque recare l'autenticazione delle firme digitali da parte di un notaio. Senza entrare nel merito di questa interpretazione, sulla quale si è già discusso a sufficienza su questo blog, vorrei sottoporre all'attenzione dei lettori una serie di quesiti di ordine pratico, con le risposte che ho cercato di dare.

1) Nel caso in cui la firma digitale apposta al documento informatico inviato al Registro delle Imprese non venga autenticata dal notaio, a chi dovrebbe spettare il compito di verificare l’identità delle parti? Ossia, quale soggetto dovrebbe verificare che il PIN venga digitato proprio dal titolare della smart card e non da un'altra persona che sia venuta in possesso dell'uno e dell'altra? La risposta sembrerebbe ovvia: il commercialista che effettua l’invio del file firmato digitalmente al Registro delle Imprese. Ed allora occorre chiedersi: da quale norma di legge discende tale obbligo e quali sanzioni sono poste a suo carico in caso di inosservanza? E' stato scritto su questo blog che tale obbligo discende dalla normativa deontologica; ciò vuol dire che in caso di inosservanza di questo obbligo, al commercialista potranno essere irrogate solo sanzioni disciplinari (avvertimento? censura?), non invece sanzioni penali, come invece per i notai; in particolare, non sembra configurabile in alcun modo una responsabilità civile del commercialista nei confronti dei propri clienti, a meno che il compito di effettuare l'identificazione delle parti non sia stato assunto espressamente nel contratto d'opera professionale.

2) Come si fa a stabilire con certezza la data in cui è stato perfezionato il documento informatico contenente la cessione di quota? La firma digitale di per sè non attribuisce la data certa al documento informatico: a tal fine occorre apporre al documento la marcatura temporale, che è cosa ben diversa. Ne consegue che, in mancanza di tale marcatura (che non è richiesta dalla legge ai fini dell'invio al Registro delle Imprese), il documento informatico potrà essere tranquillamente postdatato o antedatato, alla bisogna.

3) Da chi deve essere conservato il documento informatico al quale è apposta la firma digitale? Ammettendo che debba provvedervi il commercialista che ha effettuato l’invio, per quanto tempo deve conservarne il deposito, e a chi spetterà questa incombenza una volta che il commercialista sia cessato dall’esercizio? Inoltre, in mancanza di un obbligo di legge e di un esplicito conferimento di un incarico professionale, quale rimedio potrà essere esperito dalle parti nel caso in cui tale deposito non venga conservato, per qualsiasi motivo? La risposta sembra essere: nessuno.

4) Chi deve controllare che l'atto di cessione di quote non contenga clausole nulle o annullabili, che ne determinerebbero l'inefficacia (ad es. la mancata previsione di un corrispettivo per la cessione o la mancata autorizzazione di un soggetto incapace)? Non certo il commercialista, il cui unico obbligo, nella fattispecie delineata dall’articolo 36, comma 1-bis, del D.L. 112, sembra essere quello di provvedere all’invio del file firmato digitalmente, sulla base, si presume, di un esplicito incarico professionale. Nel caso in cui, invece, il commercialista abbia assunto anche l’incarico di redigere il documento che verrà firmato digitalmente dalle parti, chi controllerà che l'operato del commercialista sia corretto? In genere, nel diritto amministrativo, al conferimento di un potere (in questo caso quello di effettuare l'invio al Registro delle Imprese) corrisponde l'imposizione di un controllo (per i notai questo controllo viene effettuato in sede di ispezione biennale da parte degli Archivi Notarili). Nel nostro caso, invece, non vi è alcuna traccia di controlli sull'operato del commercialista che effettua l'invio, a meno di voler considerare tale il controllo effettuato dal Conservatore del Registro delle Imprese in sede di iscrizione (che comunque è un controllo di mera legalità formale e non può estendersi sino al punto di sindacare la validità sostanziale delle clausole del contratto). Così ragionando, tuttavia, verrebbe posto a carico della collettività un onere economico che invece dovrebbe essere posto a carico delle parti private, il che non sembra quello che la legge si propone.

5) Nel caso in cui il contratto di cessione venga firmato digitalmente ed inviato al Registro delle Imprese da un commercialista, chi deve provvedere alla registrazione fiscale, e quando? Sembrerebbe, infatti, che il documento informatico al quale viene apposta la firma digitale, avendo natura di semplice scrittura privata non autenticata, sia soggetto a registrazione solo in caso d'uso, ed è dubbio che tale caso d'uso ricorra per il deposito presso il Registro delle Imprese. Questo vuol dire che le cessioni di quote non verranno più registrate? Ed in tale caso come verrà garantita la copertura finanziaria della nuova legge?

Ringrazio tutti coloro, notai e non notai, che vorranno fornire le risposte ai quesiti che precedono, anche diverse da quelle che ho cercato di dare. Come si vede, si tratta di questioni pratiche che difficilmente potranno essere risolte facendo semplici affermazioni di principio, del tipo "anche il commercialista, quando effettua l'invio, è pubblico ufficiale"; affermazione in sè discutibile, e comunque del tutto inutile ai fini che ci interessano.

mercoledì 20 agosto 2008

Cessioni di quote a Ferragosto/4

di Daniele Muritano

Ancora una volta Il Sole 24 Ore (19 agosto) ospita l'intervento di un commercialista (Enrico Zanetti, Coordinatore Ufficio Studi presidenza Cndcec) a sostegno della nuova norma introdotta dal d.l. 112/08 in tema di cessioni di quote.

Il titolo è tutto un programma: «Quote Srl online, in salvo sicurezza e fede pubblica».

Sono due, pertanto, i cardini su cui ruota l'articolo: «sicurezza» e «fede pubblica».

Certamente nei prossimi giorni il CNN avrà modo di replicare in maniera più che adeguata. In questa sede ci limitiamo a brevissime notazioni.

Quanto alla «fede pubblica» il dott. Zanetti afferma che la novità introdotta dalla nuova norma è soggetta ad un vincolo: «mantenere adeguate garanzie a tutela della fede pubblica».

E chi se non il notaio è istituzionalmente legittimato e autorizzato, su delega dello Stato, a tutelare la fede pubblica (v. l'art. 1 della legge notarile)?

Chi se non il notaio è il «garante» della sicurezza delle contrattazioni e della certezza in materia di attribuzione dei diritti di proprietà (in specie laddove sono coinvolti pubblici registri)?

Ma questo non conta. Il sistema fondato sull'intervento notarile, perfettamente funzionante (tanto da essere copiato da altri paesi), va superato.
E la sicurezza? E' un problema risolto. Secondo il dott. Zanetti «L'identificazione dell'utente implica [per chi? per l'intermediario? n.d.r.] non solo la conoscenza di un pin alfanumerico di identificazione, ma anche il possesso fisico del supporto hardware rappresentato dalla smart card».

Ci pare di capire (ma la frase appare alquanto oscura) che l'intermediario (=commercialista), a seguito della nuova norma, avrebbe il compito di identificare l'utente, ciò che dovrebbe fare sulla base della (sola) «conoscenza» del pin alfanumerico e del (solo) «possesso fisico del supporto hardware» (cioè delle due cose che il titolare di una smart card non deve fare: rivelare il pin a chicchessia e consegnargli la card).

In sintesi i commercialisti vogliono farci credere (ma forse abbiamo capito male) che digitalmente firmare al posto di un altro non è reato anzi è normale. Grazie alla tecnologia loro saranno in grado di fare qualcosa che i notai non sono mai stati in grado di fare: far firmare gli assenti e nei casi di necessità anche i morti!

Sono queste le garanzie che grazie a loro il sistema sarà in grado di offrire.

Quanto all'«interesse pubblico» il dott. Zanetti cita il codice deontologico (il codice deontologico!) della propria categoria per sottolineare come anche l'attività del commercialista debba svolgersi nel rispetto di tale interesse.

La realtà attuale (e la storia) del Notariato sono a disposizione del dott. Zanetti perché colga adeguatamente le differenze tra notaio e commercialista (sul piano della forma, della sostanza, dei controlli, delle responsabilità, delle sanzioni per chi sbaglia etc.), per cui lo rimandiamo all'ampia bibliografia in materia.

Chiudiamo proponendo un ulteriore documento (leggibile qui) che mostra, sotto un altro profilo (quello tributario), come nonostante l'emanazione della nuova norma non possa prescindersi dall'intervento notarile.

lunedì 18 agosto 2008

Cessioni di quote a Ferragosto/3

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di Giandomenico Putortì

Il Sole 24 Ore (organo ufficiale della Confindustria), in modo neanche troppo occulto, sembra finalmente operare una scelta di campo nella vicenda «cessioni di quote di s.r.l.», che ha avuto il suo sbocco legislativo nell'art. 36, comma 1-bis, del d.l. 112/08.

Il nostro principale quotidiano economico e finanziario - molto poco opportunamente rispetto all'imparzialità ed all'equidistanza che dovrebbe assicurare - consente al Dott. Claudio Siciliotti, Presidente del Consiglio Nazionale dei Commercialisti (e degli Esperti Contabili) di intervenire pubblicamente sulla questione, giusto il giorno di Ferragosto.

Con il risultato (e probabilmente lo scopo) di negare alla parte contro-interessata la possibilità di una replica efficace, tale solo se immediata.

Questione, si dirà, di stile, correttezza e buon gusto.

Infatti.

Nulla di epocale, diremmo, se non fosse che il Dott. Siciliotti da qualche tempo ha cominciato a dar lezioni di bon ton al Presidente Paolo Piccoli, al Consiglio Nazionale del Notariato (CNN) ed ora al Notariato intero.

Trattasi, nella fattispecie «quote di srl», solo dell''ultima, grossolana azione scorretta (eufemismo) perpetrata pubblicamente ai danni dell'istituzione notarile, cioè del corpo giuridico più affidabile e scientificamente dotato del paese, composto oggi da 5.000 pubblici ufficiali selezionati da un concorso proibitivo, di indiscusso e consolidato prestigio internazionale.

Il tutto nell'indifferenza, se non con la complicità delle stesse istituzioni dello Stato, oltre che con il beneplacito della grande stampa, di settore e non.

L'abisso morale nel quale questo bellissimo ma disgraziato paese ciclicamente e cronicamente precipita, sembra essere una sua condanna irreversibile, specie ai livelli socio-culturali più alti se si considerano le alterne vicende della classe politica che riesce ad esprimere. 

Grottesco, se non fosse poco dignitoso e preoccupante in termini etici, l'iter che ha portato alla novità legislativa in materia di cessioni di quote di s.r.l.

Che all'interno del mondo delle professioni liberali o «ordinistiche» (secondo una definizione che sembra piaccia molto ai commercialisti) le ragioni di cassa e bottega contino molto di più dei progetti di grande e comune respiro, il Notariato ha avuto modo di apprenderlo da un bel pò di tempo.

Le miserevoli richieste di nuove competenze provenienti da categorie professionali, le cui specifiche attribuzioni sono invece delineate e consolidate con legge ordinaria, sono diventate un triste rituale cui avvocati e commercialisti ci hanno abituato, in corrispondenza di un cambio di maggioranza come del varo di importanti leggi in materia economico-finanziaria.

La questione è tuttavia divenuta grave ed intollerabile oltremisura, nel momento in cui l'unico obiettivo dei due ordini professionali sembra essere divenuto quello di ottenere «poteri di autentica» notarili, quali che essi siano, nelle materie più inaudite, addirittura anche incompatibili con la rispettiva natura, con il rispettivo percorso di studi e di formazione post universitaria.

Accade pertanto che davanti agli innumerevoli attacchi portati da più parti al mondo della prestazione d'opera intellettuale di tipo professionale, che arrivano anche alla proposta di abolizione degli ordini e della «protezione» assicurata loro dalla Costituzione, mentre ad un livello «virtuoso» si progettano azioni comuni, si creano organismi di tutela e si dà vita al Comitato Unitario delle Professioni (CUP), ad altri livelli (molto più bassi evidentemente) si ordiscono attacchi al Notariato nel momento di sua maggiore difficoltà.

Ciò, nonostante lo stesso Notariato - che per diversi motivi e per la sua stessa natura giuridica avrebbe potuto ritenersi fuori dalla questione scegliendo a ragion veduta di fare a corsa a sè quale interlocutore unico e privilegiato - avesse a suo tempo acconsentito al suo ingresso nel CUP e scelto così di dare il proprio contributo e la propria adesione alla sfida che attende gli ordini professionali in Italia.

Grottesca appare poi la principale ragione giustificatrice dell'opportunità di tali nuove competenze, vista nella necessità dichiarata di garantire maggior profitto agli iscritti e aumentare le voci di entrata per i giovani colleghi, visto il loro enorme numero. Finalità, queste, dichiarate senza vergogna da entrambi i vertici di categoria.

Come se l'attribuzione della delega statale per l'esercizio di una pubblica funzione - che per il Notariato ha avuto bisogno di un'intera legge ordinaria che disciplina il ministero notarile nella maniera rigida e minuziosa che conosciamo - possa attribuirsi per decreto d'urgenza, per singoli settori, in via disarticolata e disomogenea, senza una minima garanzia di selezione nazionale dei delegati e, soprattutto, per mere ragioni di cassa o per dare ai giovani un sussidio.

Neanche a Banana Republic si era mai sentita questa roba.

In Italia è invece diventato un tormentone: «vogliamo autenticare questo, vogliamo certificare quello».

Fortunatamente, sino ad oggi, il legislatore non ha ritenuto tali istanze degne di essere accolte; la conclusione della vicenda relativa alle autentiche dei trasferimenti di autoveicoli è stata un risultato di cui avvocati e commercialisti possono certo andar fieri: autentica-burla affidata ai titolari di agenzia, aumento dei costi, fine della certezza e dell'attendibilità del PRA, ingente danno patrimoniale al sistema previdenziale dei notai e qualche migliaio di licenziamenti negli studi notarili, che avevano in ogni caso fino a quel momento garantito la presenza di un soggetto responsabile per eventuali falsità o fatti illeciti documentali.

Ma, onestamente, quello cui si è dovuto assistere durante l'iter di approvazione del d.l. 112/08 e, successivamente, con la sua degna conclusione, arriva ad assumere i contorni dello sciacallaggio, della viltà e infine del sincero disgusto.

Il Consiglio dell'ordine presieduto dal Dott. Siciliotti, dopo aver più volte sia a mezzo stampa che a livello ufficiale ha  chiesto, anzi invocato l'attribuzione di non meglio precisati «poteri di autentica»  su cessioni di quote di s.r.l. e aziende commerciali, nel cuore della campagna elettorale, convoca i rappresentanti dei due schieramenti in lizza e si fa testualmente «promettere» da entrambi il riconoscimento delle nuove competenze in un prossimo provvedimento legislativo.

Questo un estratto dal testo del comunicato stampa diramato dal signor Mauro Parracino, "Responsabile ufficio stampa Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili".


"Elezioni. Siciliotti (Dottori Commercialisti) “Dalla politica un sì bipartisan alle nostre proposte su fisco, professioni e diritto societario. Nella prossima legislatura verificheremo il mantenimento delle promesse fatte". 


La conclusione del Comunicato stampa risulta poi essere del seguente letterale tenore:


“Dopo questi importanti momenti di confronto – conclude Siciliotti –, non ci resta che attendere le elezioni e l’avvio della nuova legislatura. Dopodiché non mancheremo di ricordare le promesse così chiaramente fatte dalla politica rispetto alle istanze contenute nel nostro manifesto, monitorando attentamente la loro concreta attuazione”.

 

Alle pacate e razionali - come di consueto - osservazioni del CNN in merito alle esigenze di certezza e fede pubblica che legano i registri pubblici al principio di autenticità assoluta (non in quanto fine a se stesso ma in quanto calato nel sistema delle prove processuali con effetto decisorio del giudizio e salva la querela penale) il Presidente Siciliotti replicava svilendo la funzione pubblica connaturata alla figura del notaio, posta a base dell'intero codice civile (al quale il diritto commerciale appartiene nonostante Siciliotti non lo dica), nonchè svilendo e poi usurpando quella funzione di adeguamento che la legge notarile attribuisce al medesimo pubblico ufficiale notaio.

La «promessa elettorale» (secondo la definizione data dal CNDEC) viene poi mantenuta con l'introduzione, in extremis, del comma 1-bis dell'art. 36.

Anche qui di autentica non se ne parla neppure, ma nell'ottica di Siciliotti è un doppio successo:

1) abolizione dell'obbligo di autentica notarile;

2) competenza alla trasmissione dell'atto per i commercialisti ma senza alcuna responsabilità; libertà di spedire la pratica al registro imprese, quando e come vogliono, se vogliono.

Senza impegno, come si dice.

Al risultato di Siciliotti, come lo stesso Sole 24 Ore ha dovuto ammettere (v. il corsivo "Un registro per due", citato nel post "Cessioni di quote a Ferragosto"), non corrisponde - per tabulas - altrettanto beneficio per l'interesse pubblico, per la certezza dei registri pubblici, per la certezza del diritto.

Forse questo è un dettaglio, per Siciliotti.

Sul risparmio di costi ci si limita a rimandare all'impietosa quanto corretta tabella pubblicata a cura del CNN, contenente il raffronto tra gli onorari ufficiali di notai, avvocati e commercialisti per gli atti in questione.

Dopo la pubblicazione di tale risultato comparativo, il Dott. Siciliotti parlava, probabilmente non in modo serio, di «iniziativa di gusto discutibile».

Indiscutibile deve invece, sicuramente e seriamente, ritenersi il cattivo gusto di una campagna diretta ad aggredire la competenza di un'altra categoria di professionisti, facendosi forza del numero e del bacino di voti in grado di garantire, motivandola anche con l'esigenza di un risparmio di costi per il cittadino che, carte alla mano, è clamorosamente falsa. 

La norma, quindi, è venuta infine alla luce.

Il risultato è pari alla dignità ed alla nobiltà della sua genesi, sia da un punto di vista generale, della ratio per intenderci, sia da quello letterale e contenutistico.

Dal primo punto di vista, ammesso e non concesso che una volontà del legislatore ci sia e che sia quella veicolata quale nuncius dal Presidente  Siciliotti, secondo il quale la norma avrebbe concesso agli «intermediari» (neanche il coraggio di farsi chiamare con il proprio nome hanno avuto) la facoltà di inviare al registro delle imprese un documento non autentico ma semplicemente sottoscritto con smart card e pin delle parti; ammesso e non concesso tutto ciò, sembra più atto dovuto che consentito per l'operatore giuridico istituzionale - proprio per la funzione pubblica che svolge - evidenziarne i profili di illegittimità quale fonte di diverso e deteriore trattamento per il cittadino, dinanzi a situazioni identiche.

Illegittimità evidenti oltremisura, ove si ponga mente all'effetto di opponibilità assoluta che dal deposito del contratto di cessione di quote di s.r.l. deriva in base alla formulazione dell'art. 2470 c.c. post riforma societaria.

Illegittimità, ancora, derivante dalla diversa valenza del deposito dell'intermediario rispetto a quello dell'atto autentico o pubblico, in ordine non solo - come si è visto - alla certezza dell'identità delle parti (la legge non parla di autenticazione), ma anche in ordine alle circostanze di tempo e luogo in cui il trasferimento delle quote si è perfezionato.

Nel caso di sottoscrizione digitale in tempi diversi la situazione sarebbe del tutto incontrollabile.

L'amministratore potrebbe trovarsi di fronte una richiesta di iscrizione al libro soci un attimo prima di una importante assemblea; il Notaio dovrebbe verbalizzare modifiche statutarie rilevanti o determinanti sulla scorta di un sistema pubblicitario ormai compromesso.

Illegittimità infine, volendoci fermare qui,  derivante dalla diversa responsabilità e dai diversi adempimenti imposti al notaio che si trova ad autenticare un trasferimento di quote di srl, rispetto all'assenza totale di qualsiasi sanzione per il commercialista che spedisce la cessione al registro delle imprese.

Nessun obbligo di conservazione del titolo (che rimarrà, non si sa come, solo nell'etere), nessun obbligo di registrazione sembra, nessun termine, nessuna paternità dell'atto inviato.

Potere senza doveri. Niente autentica, ma va alla grande così, no?

Dal punto di vista letterale c'è solo da sottolineare che la norma, così com'è scritta, non lascia alcuno scampo alle aspirazioni degli «intermediari autorizzati».

L'atto di cui all'art. 2470 c.c., che il comma 1-bis dell'art. 36 prevede possa essere spedito dall'intermediario, è solo la scrittura privata autenticata, non la scrittura privata.

Il mondo giuridico attende peraltro impaziente quella «interpretazione autentica» di cui il Presidente Siciliotti ha svelato l'esistenza il giorno di Ferragosto dalle pagine del Sole 24 Ore.

Il fatto che Egli sia a conoscenza del documento con il quale il legislatore chiarisce egli stesso la portata della norma in oggetto e la ricostruisce in termini pratico - applicativi, non stupisce più di tanto, vista la capacità dimostrata nel dialogo con il governo e la larga rappresentanza in parlamento. 

E tuttavia va notato che, se l'illegittimità di una legge appartiene al limbo della teoria sino a quando il vizio non viene dichiarato dal giudice, diversamente accade quando la lettera della stessa legge non consente un'applicazione diversa da quella desumibile dal suo univoco significato.

Questa è la situazione che interessa il comma 1-bis dell'art. 36 in esame, il resto è aria fritta.

Ci si rende perfettamente conto, vorremmo infine dire al Presidente Siciliotti e ad altri paladini del movimento «autentica libera», che solo evocando un'immaginaria «interpretazione autentica» - sempre che il concetto sia stato tirato in ballo con cognizione di causa e termini - si può sostenere un'applicazione «allegra» della novella decretizia.

Forse, usando l'attuale «appeal» (attenzione alle inversioni di tendenza, però) l'Ordine presieduto da Siciliotti riuscirà ad ottenere quella interpretazione correttiva che appare necessaria per arraffare le cessioni di quote di s.r.l.; ciò non toglie che il principio «autentica per notaio o nessuna autentica» rimane principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico, strettamente legato ad un sistema di ius civile.

Si continui pure allora, se lo si ritiene opportuno e dignitoso, a reclamare competenze e attribuzioni appartenenti al Notariato, ma si eviti ameno di cadere nel ridicolo vaneggiando di interpretazioni autentiche del tipo «Dio è con noi», di riduzione di costi o di competenze naturali in materia di diritto societario e, mi permetto di consigliare, si evitino manifestazioni isteriche come quella di Ferragosto davanti all'evidenza dei fatti.

Ma - questo non è un consiglio ma un'intimazione formale -, ci si guardi bene dall'accusare il CNN e il Notariato di scorrettezze, ovvero di rinfacciarne il poco gusto nelle iniziative, dopo essersi resi protagonisti di una delle più squallide e vili esibizioni che la società civile italiana abbia mai assistito.

Ci si appronti pure per le «opportune iniziative» contro il Notariato reo di aver coniato la definizione di «postini telematici» (che appare perfetta nella sua efficacia descrittiva), ma non ci si azzardi a negare allo stesso il diritto di criticare leggi fatte male ovvero di chiederne, pretenderne l'applicazione in base al significato, al testo ed alla lingua italiana.


domenica 17 agosto 2008

Cessioni di quote a Ferragosto/2

L'interpretazione della nuova norma sulle cessioni di quote, cui si riferisce il post "Cessioni di quote a Ferragosto", può essere letta qui.

sabato 16 agosto 2008

(Ancora) Surroga e banche

di Alessandro Marzocchi

Antefatto

E' noto che il d.l. 31.1.07, n. 7, convertito con l. 2.4.07, n. 40, ha «introdotto» la c.d. portabilità dei mutui. Per la verità, la surrogazione è prevista dall'art. 1202 c.c. (approvato nel 1942!).

Il ministro Bersani, fautore del decreto, subito temette che i notai avrebbero messo «due paroline» per boicottare la novità; associazioni dei consumatori, pubblica opinione e media – chi  più chi meno – hanno sospettato antipatia preconcetta e immotivata da parte dei notai.

I notai sono pieni di difetti, ma per fortuna non hanno mai avuto il potere di decretare successo o insuccesso delle leggi, la cui fortuna è normalmente affidata alle qualità del legislatore.


Dialogo immaginario (ma non troppo; i nomi sono tutti di fantasia)

notaio Bianchi: «La Banca Nuova è fuori di testa: non vogliono capire che la surroga Bersani non è una nuova operazione ma un'operazione esistente nella quale lei si sostituisce alla Banca Vecchia. E' concorrenza, baby: l'operazione esistente viene portata tal quale dalla Banca Vecchia alla Banca Nuova; Bersani e i consumatori hanno fatto il diavolo a quattro perché fosse un'operazione elementare con costi pressocchè azzerati.

Catricalà, il garante antitrust, mica "signornessuno", ha detto che questa operazione poteva costare 100, massimo 150-200 euro.»

notaio Neri: «Bersani, consumatori e Catricalà possono dire quello che vogliono, ma la circolare ministeriale ha affermato che di fatto la formalità di surrogazione va trattata come se si trattasse di iscrivere una nuova ipoteca, e allora la Banca Nuova fa bene a guardarsi le spalle e chiedere una nuova due diligence notarile».

Bianchi: «Cambia solo la banca creditrice, nient'altro. Non c'è nuovo mutuo, non c'è nuova ipoteca: la Banca Nuova subentra (si surroga, appunto) alla Banca Vecchia nel finanziamento, nell'ipoteca e in tutti i diritti e garanzie iniziali.

Accettino la vecchia relazione notarile: non devono farmi rifare le stesse cose daccapo, sarebbe inutile spreco di risorse e avrebbero ragione gli economisti a bocciare questa mancanza di efficienza; la chiamano diseconomia, mi pare.

La Banca Nuova chiede che nella surroga si descrivano nuovamente gli immobili: comunque lavoro, se non altro per verificare che i dati attuali degli immobili siano sempre gli stessi.»

Neri: «Nessuna norma vieta di ripetere la descrizione degli immobili e se la Banca Nuova la vuole ripetere …»

Bianchi: «…paghi il lavoro extra: non sono Bersani, consumatori e Catricalà a spingere per costi ridottissimi? La Banca Nuova vuole inoltre che nell'atto di surroga si indichi cosa garantisce l'ipoteca, con indicazione diversa rispetto a quella dell'originario mutuo.»

Neri: «Se la clausola non cambia elementi sostanziali del mutuo precedente, vale quello che ti ho detto per la descrizione dell'immobile.»

Bianchi: «La Banca Nuova non accetta poi che la pubblicità dell'operazione sia eseguita dal Conservatore dei Registri Immobiliari, d'ufficio e senza spese, ma chiede che venga fatta dal notaio.»

Neri: «Hai ragione, la pubblicità potrebbe farla l'ufficio pubblico, gratis: però "di fatto" ci pensa sempre il notaio.»

Bianchi: «Vogliono sprecare risorse. C'è già un'operazione: Banca Nuova la valuti così com'è, se vuole portare via il cliente alla Banca Vecchia, faccia le sue valutazioni ma non riparta da zero. Anche l'art. 1202 c.c. – dal 1942, e Bersani non era neppure nato – ipotizza solamente la sostituzione del creditore.

Se vogliono il massimo risparmio, facciano le cose semplici, se vogliono le massime garanzie le paghino. In fini dei conti Bersani ha costruito un castello senza notaio: se il castello non sta in piedi, non si può dare la colpa al notaio.»


Domanda finale

Leviamo di torno i notai: le difficoltà della c.d. lenzuolata Bersani sparirebbero? 

Cessioni di quote a Ferragosto

di Daniele Muritano

Il Presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Commercialisti e degli Esperti Contabili, torna sulla questione delle cessioni di quote il giorno di Ferragosto, mentre (quasi) tutti sono sotto l'ombrellone.

L'intervento fa seguito ad un articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 14 agosto 2008, nel quale si dava notizia di un'iniziativa di alcuni notai, che rivolgendosi all'ufficio del registro delle imprese, hanno chiesto chiarimenti in merito all'effettiva portata della nuova norma (art. 36, comma 1-bis, del d.l. 112/08).

Il problema di fondo è, in sostanza, stabilire se la nuova norma ha davvero innovato l'esistente, consentendo l'immissione di dati nel registro delle imprese in mancanza di un titolo «autentico» ovvero ha fallito nel suo intento.

Siciliotti, naturalmente, propende per la prima tesi, dimenticando (o ignorando) il fatto che le norme, una volta «poste» dal legislatore, vivono di vita propria e l'elemento «psicologico» è irrilevante a fini interpretativi.

Detto questo, alcune notazioni rispetto a quanto affermato da Siciliotti, si impongono.

Afferma Siciliotti che «l'interesse pubblico e il rispetto istituzionale è per loro [i notai, n.d.r.] non già un fine, bensì un mezzo».

Aspettiamo di capire, anzitutto, il significato dell'affermazione secondo cui «il rispetto istituzionale … è un mezzo».

Quanto all'interesse pubblico, dica Siciliotti (meglio : lo dovrebbe dire chi ha redatto la norma) se l'affidabilità di un registro pubblico (tale è il registro delle imprese) è a tutt'oggi un interesse di rilevanza pubblica oppure no.

I notai (e il notariato) ritengono di sì. E, guarda caso, anche lo stesso Sole 24 Ore sembra essere sulla stessa linea laddove afferma (v. «Un registro per due», in data 12 agosto 2008; da notare che l'articolo, leggibile nella pagina "Commenti e inchieste", non è firmato, quindi è riconducibile alla direzione del giornale, il che non pare di poco rilievo) che la diminuita affidabilità del registro delle imprese comporterà maggiori costi, essendo necessarie – con riferimento alla titolarità delle partecipazioni - verifiche ulteriori rispetto a quanto risulterà dal registro (così come viene suggerito in Inghilterra, dove non esistono i notai e quindi chiunque può introdurre dati nel registro).

Riproponiamo allora la domanda : risparmio (per le imprese? ma gli atti di cessione di quote interessano i soci, non le imprese!) o spreco?

Afferma ancora Siciliotti che quella da lui sostenuta è (udite, udite) «L'interpretazione autentica del legislatore». Da giuristi, non crediamo alle nostre orecchie e ogni commento ulteriore è superfluo.

Afferma infine Siciliotti che «L'articolo 2470 … non richiede la forma della scrittura privata autenticata ai fini della validità dell'atto, ma proprio ai fini procedurali del suo deposito presso il Registro delle imprese, secondo la procedura prevista, che viene appunto derogata dall'articolo 36, comma 1-bis». 

Appunto quello che sostengono i notai: è solo la «procedura» che viene derogata, e non la «forma» dell'atto da depositare.