sabato 26 luglio 2008

La c.d. semplificazione delle cessioni di quote : efficienza o spreco ?

di Alessandro Marzocchi

Quale vantaggio per il mercato, quale semplificazione, quale miglioramento di efficienza?

Quella che appare una banale compravendita di quota di srl spesso è operazione complessa per la quale sono necessarie varie competenze; questo spiega perchè finora un'operazione apparentemente banale ha spesso coinvolto più specialisti.
Ritorno ad esempi di medicina per ricordare che pochi affidano la propria salute a un solo medico (ed il linguaggio corrente bolla la parola “generico”: vi attribuisce un significato negativo).
Anche nelle professioni giuridico contabili si assiste all'analogo fenomeno di specializzazioni sempre più spinte.
Anche nel procedimento legato alla semplice cessione di quota gran parte dell'efficienza è imposta da leggi.
Il fisco vuole la sua parte, ed è impensabile che vi rinunci in favore di una categoria professionale.
La legge avrebbe potuto decidere che nessun deposito andava fatto nel registro delle imprese: massima semplificazione, nessun avvocato, nessun commercialista, nessun notaio.

Concludendo con parole semplici.

Si voleva semplificare?

Allora si sarebbe dovuto prevedere il trasferimento delle quote di srl per semplice scrittura privata: niente notaio, niente avvocato, niente commercialista.
Il tutto con prevedibile decadimento di affidabilità e tenuta del pubblico archivio, ma il legislatore avrebbe scelto minori costi anche a svantaggio dell'efficienza (... ancora una volta ... !) dell'archivio.
Si voleva mantenere un pubblico archivio affidabile?
Si sarebbe dovuto lasciare le cose come stavano.
L'efficienza costa, ad energia zero nulla si realizza.
La via di mezzo?
Credo che sarà uno spreco: a chi gioverà?
Per trovare la risposta non sarà necessario attendere i posteri.

mercoledì 23 luglio 2008

Le surroghe

di Sabino Patruno

In questo post parlerò bene di quella che comunemente viene chiamata "portabilità" o "surroga" dei mutui.
Intendiamoci, il buon Bersani, che con una delle sue "lenzuolate" (la legge n. 40 del 2007) ha rivitalizzato l'istituto, non ha lasciato certo un buon ricordo tra i notai e molti dei suoi atteggiamenti preconcetti e alcune proposte di legge da lui inspirate hanno abbondantemente giustificato l'antipatia.
Ciò detto, però, a mio parere le surroghe rappresentano comunque una eredità positiva lasciataci dal governo precedente, dato che hanno oggettivamente costretto le banche ad innovare il mercato del credito bancario, anche se solo oggi dopo numerose difficoltà iniziali, il meccanismo sta iniziando a funzionare.
Bisogna infatti dire che, come spesso accade in questioni che hanno a che fare con la tecnica giuridica e i mercati finanziari, tra l'effetto annuncio e la efficiente messa a regime dell'istituto, è dovuto passare del tempo.
L'effetto annuncio è consistito nel far passare tra i sempre più mitizzati consumatori, il messaggio mediatico che la surroga poteva (e può) consistere in poco più che un paio di firme da mettere in calce ad un pezzo di carta, che nessun costo sarebbe giustificato per tale attività e che, a maggior ragione, l'intervento notarile, se proprio necessario (ma sul punto alcuni erano e sono dubbiosi), deve essere ridotto al minimo, con conseguenti costi impercettibili.
Questo è stato l'annuncio e poichè le surroghe invece di crescere da subito in modo esponenziale hanno invece avuto notevoli difficoltà a venire proposte dalle banche (che d’altra parte non erano neanche commercialmente pronte a vendere il prodotto), si è scatenata una sorta di caccia all'untore per individuare i colpevoli di questo fallimento.
Tra i colpevoli sono stati additati anche i notai, i quali avrebbero frapposto non meglio identificati ostacoli alla stipula degli atti, in una sorta di accordo perverso con gli istituti bancari ben felici di impedire qualsiasi attività concorrenziale al loro interno, tanto che qualche associazione di consumatori aveva anche minacciato una class action al riguardo, mai ovviamente concretizzatasi.
Orbene, a parte l'illogicità di dover pensare ad un complotto dei notai per far fallire il funzionamento di un istituto che avrebbe comunque portato loro del lavoro, andiamo a vedere come, nei fatti, questa benedetta portabilità ha funzionato e quali effetti ha avuto nei rapporti tra le banche.
Questo blog vuole portare all'attenzione di un pubblico di non notai e quindi di non tecnici, alcune questioni di "vita notarile", quindi non scenderò troppo in particolari giuridici, nè farò una analisi scientifica delle questioni connesse alle surroghe, ma cercherò di dare qualche informazione utile ad un lettore comune per permettergli di capire lo stato dell'arte.
Cominciamo subito col dire che la novità del decreto Bersani non è una vera novità, visto che esiste sin dal 1942, data di nascita del nostro codice civile.
L'articolo 1202 c.c., infatti, regola la "Surrogazione per volontà del debitore" e così dispone:
"Il debitore, che prende a mutuo una somma di danaro o altra cosa fungibile al fine di pagare il debito, può surrogare il mutuante nei diritti del creditore, anche senza il consenso di questo.
La surrogazione ha effetto quando concorrono le seguenti condizioni:
1) che il mutuo e la quietanza risultino da atto avente data certa;
2) che nell'atto di mutuo sia indicata espressamente la specifica destinazione della somma mutuata;
3) che nella quietanza si menzioni la dichiarazione del debitore circa la provenienza della somma impiegata nel pagamento. Sulla richiesta del debitore, il creditore non può rifiutarsi di inserire nella quietanza tale dichiarazione."
L'operazione, quindi, è un po' più complessa che non il mettere due firme in calce ad un foglio di carta (come i primi commenti lasciavano pensare) dato che c'è un nuovo mutuo da concedere, una quietanza da rilasciare e un "subentro" nelle garanzie che assistono il primo mutuo con un annotamento da eseguire a margine dell'ipoteca col quale si comunica che il creditore non è più la Banca Alfa, ma la Banca Beta.
In sostanza:
a) la nuova banca - come ovvio - deve valutare la convenienza dell'operazione e quindi fare una istruttoria per il nuovo mutuo, verificare cioè se il creditore offre garanzia di solvibilità, se magari ha subito protesti, pignoramenti ecc.
Il nuovo mutuo, per godere di tutte le agevolazioni della "Bersani" deve essere di importo identico al debito residuo del primo mutuo e questo, ovviamente, ha rappresentato un limite al successo della procedura, perchè, come comune esperienza insegna, quando si tratta di rinegoziare un mutuo esistente si coglie anche l'occasione di chiedere alla banca una somma integrativa per far fronte a delle nuove esigenze nel frattempo intervenute.
In tutti questi casi niente "surroga Bersani", ma mutuo tradizionale, con nuova ipoteca ed estinzione del primo finanziamento;
b) la vecchia banca deve poi rilasciare quietanza: occorre quindi la collaborazione del primo istituto, che, tramite un suo funzionario, o interviene all'atto di surroga oppure rilascia la quietanza con un atto a parte. Ora, su questo, soprattutto all'inizio, c’è stata un po' di resistenza passiva da parte della banca che vedeva andar via il cliente, poi grazie anche all'ABI, alla mediazione dei vituperati notai ed alla spinta delle associazioni dei consumatori, le cose sono migliorate, anche se con alcuni tipi di banche ottenere la quietanza in maniere agevole è oggettivamente difficile, perchè magari non hanno sportelli sul territorio, ma operano solo on-line o tramite mediatori finanziari;
c) occorre infine "surrogare" l'ipoteca, vale a dire - detto non tecnicamente - che il debitore deve autorizzare un "subentro" della nuova banca nella ipoteca iscritta a garanzia del primo mutuo.
E' solo per quest'ultima attività che è indispensabile l'intervento del notaio, dato che si tratta di andare a modificare i dati presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari, gli altri due atti, mutuo e quietanza, potrebbero teoricamente essere stipulati anche per scrittura privata solo registrata.
In realtà nessuna banca, per quanto a mia conoscenza, ha deciso di seguire la strada della scrittura privata, per l'ovvia ragione che l'atto notarile garantisce meglio il credito, grazie alla copia esecutiva.
Per le banche è poi sempre preferibile avere un professionista che assume la responsabilità dell'intera operazione e col quale prendersela se qualcosa va male.
Questo dunque, succintamente spiegato, è il meccanismo di funzionamento delle surroghe, nei fatti, però, di tali atti se ne sono fatti pochini e pochi se ne preannunciano.
La ragione di ciò non risiede nel fatto che le banche si accordano tra loro per impedire le stipule, quanto perchè la minaccia della surroga costringe la vecchia banca a rinegoziare il mutuo già in essere a condizioni migliori.
E' questa, in definitiva la vera arma che la "portabilità" ha dato ai debitori (anche se fa chic chiamarli consumatori), tanto che, a conti fatti, su cento mutui da rinegoziare, forse più dell'80% vengono trattati dalla vecchia banca che, pur di non perdere il cliente accetta di concedere tassi più vantaggiosi e nei fatti, la maggior parte delle surroghe riguarda i mutui cartolarizzati, per i quali la rinegoziazione col vecchio istituto è impossibile (per i non addetti ai lavori, un mutuo cartolarizzato è un mutuo che la banca ha ceduto sul mercato internazionale e per il quale il vecchio istituto si limita a fare da cassiere).
Le surroghe, dunque, sono state un successo, non tanto per l’istituto in sé, chè anzi la stipula di un atto di surroga è, dal punto di vista notarile, macchinosa e complicata da gestire, quanto piuttosto perché ha “costretto” le banche ad ascoltare i debitori, i quali nella maggior parte dei casi hanno ottenuto ciò che in altri tempi riuscivano ad ottenere con difficoltà, ossia uno sconto sugli interessi.
Certo tutto ciò si poteva ottenere senza l’isterismo che ha accompagnato la nascita dell’istituto e senza la ricerca di untori, magari evitandone l’inserimento in una “lenzuolata” e meditandolo con chi giornalmente e nella pratica ha a che fare con queste materie, per esempio i notai, ma si sa, i notai in fondo mettono solo una firma….

lunedì 21 luglio 2008

Un po’ di storia (magistra vitae), e qualche confronto con l’Europa sul ruolo del notaio nella circolazione degli immobili

di Gaetano Petrelli

Sempre più insistentemente si mette in dubbio – spesso da parte di soggetti non neutrali, interessati al mercato dei servizi immobiliari ritenuto “ricco” – l’utilità del notaio, e quindi della sua prestazione di professionista e pubblico ufficiale, ai fini della redazione degli atti soggetti a pubblicità immobiliare o commerciale. In più sedi, ed anche su questo blog, sono state esposte da parte del Notariato, ma anche da parte di esponenti dell’Accademia, della Magistratura e del mondo delle professioni, le ragioni che militano invece per il mantenimento del ruolo di garanzia di legalità che è attribuito dal nostro ordinamento ai notai (che per inciso fino ad oggi ha funzionato benissimo). In queste righe vorrei invece “divagare”, tornando indietro di qualche centinaio di anni per capire “come si è arrivati al notaio” (riprendendo molto in sintesi i risultati di una mia ricerca, “L'autenticità del titolo della trascrizione nell'evoluzione storica e nel diritto comparato”, pubblicata sulla Rivista di diritto civile, 2007, I, p. 585).
Una volta non esisteva la trascrizione immobiliare. Se Tizio vendeva a Caio e poi vendeva nuovamente a Sempronio (o ipotecava a suo favore) lo stesso immobile, con due scritture private (destinate a rimanere occulte in assenza di pubblicità legale), prevaleva il primo acquirente in ordine di data (prior tempore potior iure). Si può capire come l’incertezza regnasse sovrana, e – come testimoniano autorevoli studiosi dell’epoca – perché i tassi di interesse fossero vertiginosamente elevati (a fronte di un rischio del credito ipotecario enorme). Fu così che, all’epoca della rivoluzione francese, la legge dell'11 brumaio, anno VII (1° novembre 1798) istituì la trascrizione immobiliare; consentendo peraltro che potessero essere trascritte anche semplici scritture private, non controllate da nessun pubblico ufficiale, per cui nessuna garanzia vi era riguardo alla loro provenienza e validità. La scelta venne ribadita dalla successiva legge francese del 23 marzo 1855, mentre in Belgio, la legge del 16 dicembre 1851, si richiese obbligatoriamente la forma notarile degli atti da trascrivere, al fine di evitare il contenzioso e di porre su basi sicure il credito fondiario. Un autorevole civilista dell’epoca, il Laurent, ponendo a confronto le due diverse soluzioni belga e francese, scrisse nel suo celebre trattato di diritto civile che solo la prova del tempo avrebbe dimostrato quale sistema era il migliore. Ebbene, dopo aver sperimentato, nei successivi decenni, i problemi e le liti derivanti da scritture private invalide, inefficaci, false, imprecise nei contenuti e difficili quindi da interpretare, il legislatore francese, con decreto del 30 ottobre 1935, si allineò alla soluzione belga, richiedendo obbligatoriamente ai fini della trascrizione l’atto notarile. Evidentemente, quindi, la soluzione “liberale” non aveva funzionato. Dai lavori preparatori, e dai commenti dottrinali dell’epoca, si ha un’idea del contenzioso e dell’incertezza nella circolazione degli immobili a cui venne posto così rimedio. Oltretutto, dagli stessi lavori preparatori si scopre che le scritture private di vendita immobiliare erano spesso preparate da professionisti e “praticoni”, con costi il più delle volte superiori alle parcelle dei notai (che avevano invece tariffe rigide da rispettare). Tutto ciò in sistemi giuridici in cui la trascrizione non produceva e non produce “pubblica fede” (e non assegnava quindi al funzionario preposto, il conservatore dei registri immobiliari, funzioni di controllo). Anche se la trascrizione ha progressivamente assunto un ruolo importante nel garantire “affidabilità” alle risultanze dei pubblici registri, e nel dare sicurezza a chi acquista diritti sugli immobili (sicurezza che solo il controllo notarile preventivo garantisce).
In altri sistemi giuridici europei (cito per tutti quelli tedesco, austriaco, svizzero, spagnolo, portoghese, inglese, olandese) la pubblicità immobiliare comporta attribuzione di “pubblica fede” alle risultanze dei registri, e comporta quindi una sicurezza ancor maggiore. In questi sistemi, il correlativo “principio di legalità” comporta che il funzionario o il magistrato che sovrintende ai registri immobiliari effettui un controllo relativo alla legalità degli atti ed all’esistenza dei poteri di rappresentanza di chi ha sottoscritto gli atti stessi. Ebbene, nella quasi totalità degli ordinamenti europei, pur in presenza di un così importante controllo di legalità svolto dal pubblico funzionario, si richiede obbligatoriamente e in aggiunta l’atto notarile ai fini dell’iscrizione: ciò perché vi sono degli aspetti attinenti alla “legalità” che solo il controllo preventivo del notaio può assicurare (si pensi all’identità personale, alla capacità di agire delle parti, all’inesistenza di vizi della volontà: cose che vanno verificate al momento della formazione dell’atto, e non successivamente). In Inghilterra, dove pure non esiste la figura del notaio, vi è quella del licensed conveyancer, che finisce per svolgere un ruolo analogo (ma, in assenza di un obbligo di accertamento dell’identità personale, sono state segnalate frodi e falsità). Frodi nelle iscrizioni nei registri immobiliari sono presenti, e sono state autorevolmente segnalate anche nei sistemi scandinavi, nei quali non esiste il notariato latino ("Indeed, in the Nordic systems, there have been reports on fraudulent registrations achieved by fake documents": Real Property Law and Procedure in the European Union, General Report, by C.U. Schmid e C. Hertel, 31.5.2005, p. 31, in http://www.iue.it/LAW/ResearchTeaching/EuropeanPrivateLaw/).
Se poi si dà uno sguardo fuori d’Europa, in particolare agli Stati Uniti, si constata come l’inesistenza di pubblici registri affidabili abbia condotto a prosperare le compagnie di assicurazione: la Title insurance accompagna praticamente ogni vendita immobiliare, con il bel risultato che, oltre al costo della consulenza legale (un avvocato per il venditore ed uno per il compratore, che costano complessivamente più di un solo notaio per entrambi), vi è il costo dell’assicurazione, e tutto ciò per ottenere, alla fine, solo un risarcimento dei danni subiti se si scopre che l’immobile era già ipotecato o di proprietà di altri. Ma prevenire non è meglio che curare? E poi, si riesce veramente a curare in un sistema in cui regna l’incertezza? Se scaviamo a fondo nella vicenda dei mutui subprime che hanno messo in ginocchio l’America, a causa dell’assenza di controlli, non impariamo la lezione? E considerati i lauti profitti delle compagnie assicuratrici, ci si potrebbe chiedere a questo punto: se si elimina il notaio, cui prodest?
In definitiva, la storia ed il diritto comparato ci insegnano che, laddove si è voluto fare a meno del notaio, ciò è avvenuto con rilevantissimi costi di transazione in termini di insicurezza e di aumento dei tassi di interesse, e del pagamento di parcelle e provvigioni di intermediari (come i mediatori immobiliari nei sistemi scandinavi) certo non preparati come i notai, o di premi di assicurazione certo non modesti. Ancora una volta la domanda: a beneficio di chi?

venerdì 18 luglio 2008

Le ragioni di questo blog

a cura della Redazione

L'allentamento dei controlli di legalità che potrebbe sorgere a seguito dell'eventuale approvazione dell'emendamento al d.l. 112/08 in materia di quote societarie, ci spinge a riproporre con forza la domanda oggetto del post di apertura di questo blog.

Esiste una "questione notariato" in Italia ?
Recenti interventi del legislatore e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato,  quotidiane rivendicazioni di competenze "notarili" da parte di altre categorie professionali, rendono ormai ineludibile discutere con chiarezza se il Notariato, in Italia,  deve continuare ancora a godere di considerazione giuridico-sociale, alla luce della Costituzione e delle norme che ne regolano il funzionamento.
Lo Stato Italiano deve affermare in modo trasparente e chiaro, senza infingimenti, se intende ancora conservare i principi di certezza e legalità dei rapporti giuridici che fino ad oggi il Notariato ha garantito.

giovedì 17 luglio 2008

Da Notaio ai Notai e da Notaio al consumatore

di Roberta Notaro


Da qualche tempo ormai mi son posta la “questione notariato” prima di tutto come una questione personale, di sopravvivenza, facendo il Notaio; poi me la sono posta come questione per la categoria, per il Paese e per i suoi cittadini.
L’unica ricchezza su cui so di poter contare è la mia preparazione professionale; altrettanto posso affermare per l’intera categoria. Il Notariato italiano è un’eccellenza formata da un piccolo esercito di esperti del diritto, dotato di grandi professionalità, capacità organizzativa, elevata specializzazione nelle materie di sua competenza (anche se qualcuno ha un po’ confuso il ruolo, pensando che sia solo una vacca da mungere, ma si tratta di una minoranza che però ha fatto e continua a fare danni alla categoria. Del resto qualsiasi categoria porta la sua croce).
Mi sono posta la questione notariato per le varie sottrazioni di competenze che via, via, in questi anni si stanno susseguendo; per le riduzioni di onorari per decreto, per i continui assalti alla diligenza delle competenze da parte di altre categorie che nulla hanno a che fare con la funzione notarile.
Si diventa Notaio solo superando il difficile concorso notarile. Punto. Conosco solo un sistema per vincere il concorso: studiare, studiare e studiare, dieci, dodici ore al giorno, senza festività o giorni comandati, per anni e anni. Fino a raggiungere una preparazione eccellente.
Ed è su questo che si fonda la grande forza del Notariato: la specializzazione e l’elevata preparazione dei suoi componenti. In altri casi si accede all’esercizio della professione, dopo la laurea, con un semplice esame di abilitazione professionale; in taluni casi basta il diploma di un istituto superiore, a volte anche conseguito alle scuole serali con i famosi cinque anni in uno. Nulla da ridire, s’intende, si tratta di professioni diverse e diverse peculiarità.
So per certo, per conoscenza diretta ed esperienza di tutti i giorni, che la maggior parte dei notai italiani, sono anche avvocati, professori, magistrati. Io, per esempio, sono anche avvocato e professore. Parliamo quindi, sempre, di persone che nella vita hanno fatto la scelta dell’elevata specializzazione, contando sulla propria capacità e merito. Null’altro.
Nessuna legge, nessuna sottrazione di competenza o nuove funzioni a terzi, potranno togliere o ridurre mai questa conoscenza. Oggi c’è la tendenza ad aggredire la categoria notarile, forse anche perché si conosce poco il suo mondo (o in alcuni casi per una certa invidia sociale) ma, volenti o nolenti, il notariato dimostra sul campo tutti i giorni di essere – e qui mi ripeto – un’eccellenza del sistema giuridico italiano (i dati sono a disposizione di tutti su http://www.notariato.it/). Un’istituzione di garanzia, per il Paese e per il cittadino.
I continui attacchi, non tendono ad attribuire competenze a terzi, bensì tendono più semplicemente a scardinare il sistema di garanzie e la funzione del notaio quale pubblico ufficiale, terzo e imparziale.
E domani ? Sul domani, non saprei che pensare. Se il Paese, e per esso il Parlamento, deciderà che non c’è più bisogno di alcune certezze, di alcune garanzie e che le funzioni notarili potranno esser delegate anche al postino, sono giunta alla conclusione che sarà un problema principalmente del Paese e dei suoi cittadini. In prima battuta il Notariato subirà il suo forte contraccolpo, ma poi, la professionalità, la capacità, la specializzazione, saprà uscir fuori.
Si passerà quindi da un notaio super partes ad un notaio di parte? Non ho alcuna idea. So solo che proseguendo su questa strada, attraverso l’erosione continua delle attività delegate ai notai, non sarà più possibile fare il notaio così com’è oggi.
A questo punto direi che, se si vuole realmente scardinare il sistema delle garanzie e lasciare tutto all’autonomia privata delle parti, o si consente anche al Notaio, vista la sua elevata specializzazione, di poter esercitare contemporaneamente la professione di notaio, di avvocato e di commercialista. Oppure vorrà dire che lo Stato discrimina una sola categoria a favore di altre. Ed in tal caso, il Notaio sarà costretto, suo malgrado, ad avvalersi delle sue diverse abilitazioni.
Ci si potrebbe chiedere: perché tutto questo ? Qualcuno si sarà pure posto la domanda, o no ? Io l’ho fatto e ho trovato una sola risposta, che nulla ha a che fare con i tanto magnificati principi liberisti, di semplificazioni, concorrenza o risparmi per il consumatore. Qui si tratta di interessi di portafogli: altre categorie vogliono attingere alle competenze notarili esclusivamente per aumentare i propri guadagni, a nulla importando i principi giuridici che stanno alla base del nostro sistema; a nulla rilevando il sistema di garanzie connesso; infischiandosene delle conseguenze che potrebbero di lì venire all’intero paese.
L’importante è ingrassare il portafogli, ora. Domani si vedrà. Di più: i controlli ed il sistema notariato in genere, piacciono poco a chi vuol fare come gli pare, infischiandosene della legalità, dell’affidabilità dei pubblici registri, della pubblica fede, delle garanzie etc etc. A questi soggetti interessa solo poter fare ciò che vogliono come vogliono. Altro che consumatori ! Altro che risparmio !
L’affidabilità del sistema notariato di diritto civile è ampiamente dimostrata, checché ne dica chi produce studi di parte, la cui verificabilità è tutta da provare.
Per ritornare alla questione notariato, bisognerebbe affrontare anche quella leggenda metropolitana che descrive il notaio come un professionista esoso. Il notaio, per la sua elevata specializzazione, potrebbe confrontarsi con altri professionisti le cui parcelle sono davvero per pochi. Invece, il notaio, è uno specialista a disposizione di tutti, con una tariffa determinata dallo Stato che, confrontata con quella di altre categorie, è ben al di sotto. Ciò perché esercita funzioni delegate dallo Stato secondo precise disposizioni. E tra queste anche il numero programmato.
Se così non fosse, le sue tariffe sarebbero ben più elevate ed adeguate allo standard di specialisti ad esso paragonabile, che potrebbero permettersi di pagare solo i più abbienti. E’ questo che si intravede all’orizzonte? Ancora una volta, non saprei che dire. Però questa considerazione, egoisticamente, mi potrebbe rassicurare, sapendo che comunque la professionalità e la specializzazione anziché essere per tutti, sarà almeno per quei ricchi, disposti a pagare uno specialista.
E la coppia di impiegati che con grandi sacrifici si accinge a comprar casa ? E per gli anziani e le piccole imprese ? Mi spiace, per quella giovane coppia ci sarà pure qualche avvocato low cost & low study o ragioniere del cinque in uno alla scuola serale disposto a mercanteggiare per una prestazione professionale di pari livello.
Solo a titolo esemplificativo, provo a mettere a confronto alcune tariffe di avvocati e commercialisti con quelle dei notai.

Onorari per un contratto preliminare di vendita di immobile del valore di 100.000,00 euro (nel caso del notaio si fa riferimento al rogito definitivo)
Avvocati
circa 5.000,00 euro
Commercialisti
circa 5.000,00 euro
Notai
1.541 euro

Onorari per un contratto preliminare di vendita di immobile del valore di 200.000,00 euro (nel caso del notaio si fa riferimento al rogito definitivo)
Avvocati
circa 9.000,00 euro
Commercialisti
circa 9.000,00 euro
Notai
1.750 euro

Onorari per un contratto preliminare di vendita di immobile del valore di 300.000,00 euro (nel caso del notaio si fa riferimento al rogito definitivo)
Avvocati
circa 13.000,00 euro
Commercialisti
circa 12.000,00 euro
Notai
2.083 euro

Onorari per un contratto preliminare di vendita di immobile del valore di 1.500.000,00 euro (nel caso del notaio si fa riferimento al rogito definitivo)
Avvocati
circa 45.000,00 / 50.000,00 euro
Commercialisti
circa 33.000,00 / 38.000,00 euro
Notai
3.200,00 euro

Elaborato dalla tariffa dell’Ordine degli Avvocati di Roma http://www.ordineavvocati.roma.it/Documenti/Tariffe.pdf
Elaborato dalla tariffa del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Commercialisti http://www.cndc.it/CNDC/Documenti/normetariffa/TariffaEuro.pdf )


Qualche altro esempio pratico: Cessione di quote sociali (come da proposta di legge)

Consulenza e atto notarile su cessione di quote da 100.000 a 140.000 euro
Notaio
euro 1.000


Consulenza contrattuale su cessione di quota di 100.000 euro

Commercialisti
da 2.100 a 5.200 euro

Avvocati
da 3.500 a 8.652 euro



Consulenza e atto notarile su cessione di quota di 5.000.000 di euro
Notaio
euro 3.000

Consulenza contrattuale su cessione di quota di 5.000.000 di euro
Commercialisti
da 20.500 a 72.700

Avvocati
da 24.365 a 87.745 euro


(Elaborazione del Consiglio Nazionale del Notariato)


Credo che non ci sia bisogno di alcun commento, i dati parlano da sé. Si va da un onorario da tre a sei volte superiore a quello del notaio a seconda del valore, con l’ulteriore considerazione che, per avvocati e commercialisti, trattandosi di professionisti di parte, ogni contraente avrebbe a fianco il suo consulente (con conseguenti costi).
Allora da cosa nasce la leggenda metropolitana che il Notaio è caro ? Evidentemente dal fatto che il Notaio, insieme al suo onorario, riscuote anche le imposte e le tasse per conto dello Stato che, ad onor del vero, il più delle volte, costituiscono importi notevoli.
In definitiva, a chi giova scardinare il sistema notariato ? Non di certo allo Stato, il quale trova certezza e legalità dagli interventi notarili, senza sopportare alcun costo e con la garanzia di riscuotere le tasse e le imposte relative ai singoli atti (anche se non riscosse); non di certo ai consumatori, i quali si troverebbero a dover scegliere tra diversi professionisti con costi più elevati di quelli del notaio, con minori specializzazioni (si parla di materie prettamente notarili) e con minori garanzie.
Di certo chi ne subirebbe le conseguenze sono proprio lo Stato ed i cittadini, vuoi principalmente per l’incertezza dei traffici giuridici nascente in considerazione dello scardinamento del sistema notariato italiano; vuoi per il collasso quasi certo del sistema giustizia italiano in considerazione dell’aumento esponenziale del contenzioso (oggi pari a zero), senza considerare l’inattendibilità dei pubblici registri se alimentati da soggetti diversi dai pubblici; e di tutto ciò, chi ne pagherebbe le conseguenze in via diretta è proprio il cittadino.
Paradossalmente, seppur nel breve periodo ne sarebbe la principale vittima, da tutto ciò proprio il notariato ne potrebbero uscire rafforzato, con un notariato tutto nuovo, sempreché gli sia consentito di dimostrare la propria competenza e professionalità.
Resta da capire su quale sistema economico si andrebbe a rafforzare: se nell’incertezza dei sistemi terzomondisti o in quale altro ancora. Difficilmente tra i sistemi occidentali evoluti.
Chiudendo queste lunghe riflessioni di un qualsiasi giorno di lavoro, non mi resta che ripensare ad un calzante adagio toscano: che sarebbe meglio se ognuno facesse i’ suo !

Se questa è informazione

a cura della Redazione
Il Sole 24 Ore di oggi, prima pagina, annuncia "Cessioni di quote nelle srl anche senza notaio: basta il registro delle imprese".
All'interno, nell'articolo a firma di Dino Pesole, si quantifica il numero di cessioni annue in 160.000 e il risparmio delle imprese in 320.000.000 di euro, assumendo inoltre, del tutto arbitrariamente, che l'onorario medio percepito dal notaio per una cessione di quota sia pari a 2000 euro.
In un intervento pubblicato proprio su Il Sole 24 Ore (22 giugno 2008) è stato chiaramente messo in evidenza che l'onorario notarile medio per cessioni di quote di importi da 100.000 a 140.000 euro è esattamente la metà ed è di gran lunga, ma proprio di gran lunga inferiore a quello previsto dalle tariffe dei commercialisti e degli avvocati.
Nessuna smentita; il Presidente dell’Ordine Nazionale dei Commercialisti, intervistato su questo punto, ha elegantemente sorvolato …
Va inoltre sottolineato che cessioni di quote di tale importo sono molto rare, visto che la quasi totalità delle cessioni avviene al valore nominale (chissà come mai ?).
Se l'emendamento al d.l. 112/08 verrà approvato, di fatto sarà azzerata l'affidabilità del registro delle imprese per le cessioni di quote. Potranno essere depositate atti di cessione di quote senza nessun controllo e il compito del commercialista sarà solamente quello di inoltrare l'atto di cessione per il deposito.
Compito praticamente senza impegno e che per questo giustifica costi bassissimi.
Se il commercialista preparerà la cessione ... lavorerà gratis oppure chiederà giusto compenso ?
Questo accadrà, ed allora si abbia il coraggio di una liberalizzazione vera, integrale: niente deposito, lo si abolisca.
Questo chiede il mercato: ognun pensi per sè e nessuno per tutti.

venerdì 11 luglio 2008

Il rigo in bianco

di Andrea Bortoluzzi

C'era un bel sole quella mattina e il fico che nascondeva il pollaio domestico al di là delle rotaie era lussureggiante.
Era stata una stagione di forti piogge e l'aria era pulita e frizzante tanto che i polmoni mandavano al cervello una sensazione di gioia.
Le montagne si rivelavano al di là degli alberi in un vestito di colore viola, il colore della luce rifratta da nuvole che si liquefacevano al sole combinata al blu del cielo e all'ultima neve estiva.
Mentre il suo cervello prendeva appunti inviati dagli occhi il treno per la metropoli si annunciò arrancando su una lieve salita annunciato dallo scampanio del segnalatore d'arrivo.
Uno studente in ritardo lo spinse quasi di forza dentro lo scompartimento semi-vuoto dove una donna era assorta nella lettura di un giornale e un manager picchiettava sui tasti del suo portatile.
Il treno lentamente si mise in viaggio. Prese posto su un sedile vuoto posando a terra il sacchetto che conteneva un pacco dono da consegnare ad una amica che quel giorno prendeva congedo dal Tribunale dove aveva servito per più di dieci anni. Aprì la borsa e prese ad armeggiare col suo telefono computer. Prese alcuni appunti: risposte traduzione inglese articolo Amministratore Sostegno; mandare a prof. Sacco articolo Dickens; cercare con Silvia foto zio Dante per plaquette; fiori relatrice Rotary; progetto siticibo; sentire Susanna; incontro distretto socio assistenziale; dire Giovanni semifreddo al parmigiano. Il computer suonò. Discretamente si fece sentire da Gianni che lo chiamava per dirgli di non preoccuparsi di Tailhouse che stava investendo molte risorse a fini di carriera dentro il club "Vai avanti per la tua strada" aggiunse "buon viaggio".
Pensò che Gianni fosse davvero un buon aiuto. Così riprese in mano il computer e gli invio un sms" Gianni grazie !"
Alla stazione del capoluogo era salita una biondina che si era seduta di fronte a lui. Era una biondina di mezza età di quelle che hanno deciso di rintanarsi dentro di loro e dal suo viluppo sporgeva solo un grande naso.
Prese dalla borsa il saggio del prof. R. fresco di stampa per i tipi della università. Capì che si trattava d'appunti raccolti in modo quasi sgangherato. Le pagine appena sbocconcellate dettavano lezioni su tutto: come si deve praticare la professione; come si deve insegnare; come si deve intendere il diritto. La lettura era davvero un incubo e così il naso che fuoriusciva dalla biondina seduta di fronte a lui unito allo sventagliare della tenda del finestrino aperto sugli orti suburbani dal treno in corsa gli parve un corvo nero che volesse avventarglisi addosso. Manifestò un certa irritazione per la visione stropicciandosi gli occhi e abbandonando la lettura. Il corvo scomparve e di fronte a lui il naso della biondina diventava un grande punto interrogativo. Sul sedile al di là del corridoio uno studente era immerso nella lettura di formule matematiche.
Pensò che il naso e le formule non fossero che un quadro cui mancava una voce che veniva da lontano.
Quella della prof. Lavatelli "un mezzo più due quarti fratto due. Cosa rimane ?" Cosa rimane cosa rimane la domanda gli rimbombava minacciosa nel cervello mentre pedalava a casa sulla Bianchi rosso fuoco con manubrio sportivo e palmerini. "Che cosa rimane ?"
Cosa gli era rimasto. Il fresco della casa che gli dava il benvenuto dopo la pedalata sotto il sole di luglio. Un odore acre di polvere mista a antitarme che veniva dagli armadi. Il sudore che rugiadoso appariva sotto forma di perline intorno alla bocca della Lavatelli. La grande voglia di uscire di là per andare a giocare con gli amici.
Si stropicciò di nuovo gli occhi e guardò fuori dal finestrino. Il treno frenò entrando nella stazione metropolitana.
Scese dal treno e camminò sul marciapiede camminando tra la folla come faceva quando andava a prendere l'autobus per Pavia all'epoca dell'università. Un caffè prima di salirvi in compagnia della borsa similpelle in dotazione da casa contenente biancheria fresca di bucato e dell'ultimo numero di Linus da sfogliare con le fotografie del viaggio già immagazzinate nel cervello scatto dopo scatto,  la città che sfilava verso il naviglio e poi via per il lungo rettilineo tra gli argini dei canali sino a Pavia.
Fuori c'era Guido suo figlio che lo aspettava. Guido era alto e di nobile portamento con una vaga peluria che gli incorniciava il bell'ovale del viso, un viso rinascimentale come si conveniva alle nobili origini materne austero e insieme mite, di una mitezza di altri tempi.
Indossò il casco, un casco sproporzionato per la sua testa in cui affondò ben sotto la fronte e come un soldato prussiano goffo e marziale insieme sedette sul sedile posteriore della vespa che Guido condottiero di ventura gli offriva come trasporto veloce sino all'Archivio Distrettuale. Al primo sorpasso a destra di una colonna di auto recitò in silenzio un avemaria e si fece condurre come in una sequenza in movimento e lui fosse alla cinepresa per il centro di Milano.
Avvertiva una sorta di straniamento, il capo gli girava o forse era la città che ruotava intorno a lui dandogli una sensazione di nausea e la sua immagine riflessa dalle vetrine era quella assai goffa di un fante abbracciato ad un generale sul suo destriero. Sudato per la tensione provocata dal percorso in motorino e dal sole ora appiccicoso di luglio, un sole di ben più bassa qualità di quello della stazione del primo mattino e assistito da un'aria appiccicosa che arrivava pesante ai polmoni e mandava segnali grevi al cervello, si accinse a entrare all'Archivio. Vigilantes dall'aria sudamericana lo dirottarono ad una entrata presidiata elettronicamente. Posò sul nastro la borsa, passò attraverso la porta elettronica che emise un fischio segnalatore. Dovette togliere la cintura dei pantaloni e fu passato sul corpo da uno strumento segnala oggetti. Venne fatto passare. Entrò nel cortile dove da furgoni della polizia carceraria venivano fatti scendere ammanettati carcerati dai volti deprivati di ogni fisionomia che non fosse quella di pacchi da consegnare alla giustizia penale, i pacchi in carne ed ossa di quel giorno.
Passò veloce attraverso il cortile per salire le scale che davano all'Archivio. Proprio in quell'istante si aprì la porta e una giovane dal corpo filante, le gambe strette in un paio di jeans aderenti e il petto costretto in un top fasciante e scollato si fece avanti salutandolo e portando alla bocca una sigaretta.
Guido la guardò con aria interessata giudicandola "notevole" e lui mentalmente la inquadrò in una delle migliaia di fotografie pubblicitarie che lo assediavano ad ogni lettura di giornale o rotocalco che fosse. Una sorta di immagine asessuata e incorporea, un'opera pop, pensò forse di Frank Stella, il suo titolo giusto avrebbe potuto essere "Woman facing outdoor".
Fece di fretta le scale e si incamminò per il grande corridoio fascista che dava alla sala del Conservatore. Fece notare a Guido lo sperpero di spazi di quella architettura celebrativa. Nel corridoio le figure umane che usavano di quell'immensità venivano annullate e usate come comparse di un film sul ventennio.
Anche i due personaggi che lo aspettavano il Presidente del Consiglio Notarile e il Capo dell'Archivio avevano tutta l'aria di attori di quel film in cui si trovava a fare da personaggio involontario.
Il Capo volteggiava sulla scrivania complimentandosi per una sua apparizione televisiva su una stazione locale che celebrava la sua recente nomina a Presidente del Rotary della sua città, il Presidente annuiva sornione. Gli parve di doversi scusare per l'apparizione del tutto insignificante per quel contesto e borbottò un "già sì ma, una cosa da nulla" quando il Capo cambiato repentinamente di tono di voce, lo guardò con fare irritato e colpevolizzante e gli chiese "abbiamo riscontrato che lei notaio lascia dopo l'intestazione Repubblica Italiana una riga in bianco in molti contratti. Come mai ?" Una riga in bianco pensò, che cosa strana ! Non veniva redarguito perché avesse scritto qualcosa che non andava, che era biasimevole, che era illegittimo ma perché non aveva occupato un riga col suo scritto. Già perché la riga in bianco ? Un riga in bianco può fare nascere nel burocrate sospetti ben più gravi di una riga vergata a tutto tondo. Per chi è abituato a controllare le righe scritte la riga non scritta poteva suonare come condanna alla inutilità del suo lavoro Si perché almeno "avrebbe dovuto interlinearle quelle righe" disse il Capo. Il Presidente gravemente annuiva masticando la sua pipa. Perché non aveva interlineato ?
Disse qualcosa senza grande convinzione. " Se si tratta di contratti di mutuo lo spazio in bianco era una volta lì lasciato per esser completato volta fotocopiato l'originale per il rilascio della copia munita della formula esecutiva con la frase "In nome delle legge". Lo spazio andava successivamente interlineato”. Ne nacque un gran dibattito sul luogo di apposizione della formula. Il Presidente sosteneva a gran voce che l’ "In nome della legge" dovesse precedere il Repubblica Italiana, il Capo che comunque una tal prassi non potesse che rendersi pericolosa come nel caso di specie. Era insomma colpevole di riga bianca. Siccome non si mostrava abbastanza contrito e guardava con aria incredula e forse anche smarrita i suoi interlocutori il Capo decise di chiamare a gran voce l'ispezionante. Si fece avanti allora la ragazza della porta, la "Woman facing outdoor" che come in un film di Fellini gli porse con un sorriso malizioso uno degli oggetti del peccato. La riga era sicuramente bianca e guardando la ragazza pensò che il titolo della scultura pop avrebbe potuto essere in quel momento "Unsatisfied woman". La cosa stava prendendo davvero una brutta piega. La riga lasciata in bianco e non riempita, la signorina ispezionante in abiti succinti che appariva insoddisfatta che avesse lasciato la riga immacolata. Il Capo decise di toglierlo di impaccio mettendogli sotto il naso il verbale di ispezione. Alla voce "dichiarazioni del sottoposto alla ispezione" gli impose di scrivere "Nulla". Così fece. Era dunque colpevole del reato di riga in bianco. Non importava nulla a quei signori che avesse scritto pagine e pagine di contratti conformi alla legge e alla volontà della gente che si era rivolta ai suoi servizi. Non era tollerabile che avesse lasciato un riga in bianco. In preda ad una strana angoscia lasciò la sala omaggiato dal Capo e dal Presidente. Fuori lo aspettava il suo mite figlio dal volto rinascimentale. Abbarbicarsi a lui sul motorino come un fante prussiano condotto a cavallo da un generale gli parve una prospettiva riabilitante.

Il notaio reinventato

di Alessandro "Duccio" Marzocchi

D. lgs. 2008 n. 115 sulla certificazione energetica.
L'art. 18 comma 6 conferma l'attesa infinita di provvedimenti che avrebbero dovuto essere emanati da quasi tre anni.
Il giurista può così mettere in pratica quanto ha letto sui termini ordinatori e non perentori: fa sempre bene rinfrescare la memoria !
Il legislatore pensa voi, a gratis allena la vostra mente.
Ma questa è banalità, quando la crisi esonda.
Chi vuole distruggere i notai leggerà con apprensione l'allegato 3 al (punto ? articolo ?) 2: soggetti abilitati. Essi devono superare esami finali (pareva che il concetto di selezione andasse in disabitudine). Occorre anche assicurare indipendenza ed imparzialità di giudizio dei soggetti certificatori.
Esami, indipendenza, imparzialità: piano piano reinventano il notaio.

martedì 8 luglio 2008

Stato di diritto e libertà costituzionali o solo concorrenza ?

di Giandomenico Putortì

In Italia anglicismi e neologismi sono di casa, ed anche le istituzioni si lasciano volentieri coinvolgere nell’opera di rinnovamento dell’idioma nato circa un millennio fa sulle rive dell’Arno.
Gli schemi d’intervento istituzionale vanno dalla c.d. “inversione concettuale” (un provvedimento viene presentato con i caratteri esattamente opposti a quelli effettivi) come la “semplificazione”, al metodo del “nome d’arte” (si nasconde l’identità di un istituto affiancandogli uno pseudonimo) sul modello della “portabilità”, senza che possano rilevare gli effetti collaterali di tale attività.
Qui ci si occuperà della c.d. “evoluzione semantica”, definibile come categoria opposta al neologismo, con la quale non si forgiano nuovi termini, ma si cambia il significato di quelli esistenti. L’analisi verte sull’evoluzione del concetto di concorrenza, in vista della sua applicazione alle professioni intellettuali, in particolare al notariato.
Secondo semantica “concorrenza” deriva da “concorrere” e a sua volta da “concorso”, concetti tutti evidentemente di per sè stessi incompleti e indefiniti, se non seguiti da un termine di relazione o da un giudizio di valore.
Tuttavia, a differenza del neologismo (al più incomprensibile), questa operazione evolutiva presenta i caratteri dell’imbroglio. Nulla infatti consente, come invece si propone, di elevare “concorrenza”, “concorso” e “concorrere” al rango di valori positivi in senso assoluto.
La concorrenza invece può essere lecita o illecita, il concorrente può essere leale o sleale, il diritto penale prevede il concorso nel reato.
E’ noto che, se il fenomeno concorrenziale modulato può essere funzionale allo sviluppo, un indiscriminato ricorso alla deregolamentazione provoca effetti più gravi di un monopolio.
Basti guardare al tipo di concorrenza sviluppatosi in Cina dopo l’autoritarismo con il lavoro umano ridotto a fattore di produzione, o alla nuova Russia di Putin, ove l’economia di mercato incontrollata porta alla supremazia del più forte.
Questo tipo di concorrenza si presta più di altri ad essere “funzionalizzato” ad interessi particolari.
In Italia l’evoluzione del termine è proposta a meri fini promozionali.
Un’attenta analisi mostra che la “concorrenza” oggi invocata a livello istituzionale coincide in realtà col principio costituzionale di “libera iniziativa economica”, ed è quindi coincidente, al più, con quello di “concorrenza leale”.
In effetti, così individuato, questo termine identifica i valori fondanti del Paese, legati già soltanto all’esistenza dello Stato democratico.
Quando un esecutivo guarda più all’impatto mediatico che al programma e la politica parlamentare è ridotta a slogan, il risultato sono tali assurdità.
Assurdità rinvenibile soprattutto verificando le possibili ripercussioni su interi settori dell’attività umana nel Paese.
Non si vede quale interesse pubblico giustifichi un’idea di “concorrenza” espressa in termini di valore positivo così assoluto; forse una delle finalità dell’evoluzione è quella di farne applicazione ai settori che, in difetto, ne sarebbero estranei.
Il senso di ingiustizia che coglie gli addetti ai lavori diviene poi rabbia, davanti all’inopportuna quanto inconsueta tempestività con cui il Garante coglie l’occasione di dimostrare la sua esistenza utile, quando dovrebbe avere altre occupazioni.
Quale “autorità indipendente”, l’Antitrust dovrebbe controllare l’abuso di posizioni dominanti, non relazionare governi e parlamenti in merito alla poca concorrenza esistente nelle professioni; viviamo in un Paese che accoglie sostanzialmente un duopolio bancario e televisivo, un oligopolio nel settore carburanti, diversi monopoli nei settori energetico, telefonico, automobilistico.
Dal punto di vista sistematico la nostra legislazione si è sempre occupata di concorrenza nel suo aspetto patologico; l’obiettivo è sanzionare le devianze del fenomeno, i comportamenti sleali in grado di viziare la competizione ed il regolare svolgimento del traffico giuridico.
La legge italiana contempla il fenomeno “concorrenza” in termini tutt’altro che positivi, imponendone a volte il divieto, contenendola nei limiti che emergono dall’intero Titolo X - Libro V del codice civile.
Impotente di fronte ai cartelli ed agli accordi multinazionali, l’Antitrust diviene paladino del principio di concorrenza assoluta nel mondo professionale, senza alcun interesse sistematico e senza logica: non si rinviene alcun accenno nella corposa produzione dell’antitrust alla possibile diversità tra il principio di concorrenza di tipo commerciale e quello proprio delle professioni.
Cerchiamo allora di chiarire le idee, in termini elementari.
Nel commercio la concorrenza sortisce effetti positivi se si garantisce da un lato l’impresa che a costi inferiori fornisce lo stesso prodotto ovvero un prodotto analogo ma con miglior quoziente prezzo-qualità; dall'altro, se si controlla che l'impresa che riesce in tale risultato lo fa nel rispetto delle stesse regole e subendo i medesimi controlli di quelle che non vi riescono. Se una delle due condizioni non si verifica, la concorrenza diventa illecita e ingiusta.
Nei servizi professionali di natura intellettuale, giuridici o umanistici, scientifici o tecnico - professionali un principio di concorrenza esiste e va tutelato, purchè si capisca che esso, per sua natura, ha una diversa accezione rispetto all’altro.
L'intelletto umano fornisce un prodotto che, per sua stessa definizione, è "diverso" da produttore a produttore.
Questo spiega perchè nel nostro ordinamento vige il principio immanente, confermato e ritenuto tale anche in qualsiasi disegno di riforma delle professioni, secondo il quale la prestazione intellettuale è rigorosamente individuale e la responsabilità professionale è rigorosamente personale.
Sull’effetto di una massiccia overdose di concetti e miti anglossassoni in combinato con la giusta dose di gusto (tutto italiano) per il processo sommario, ci si dimentica di Enron, dei mutui subprime, delle sette sorelle del petrolio, di Microsoft e di Coca Cola.
In tutto questo, ovviamente i veri profeti del disastro attuale, i cantori della dea concorrenza tacciono.
Esempio illuminante di cosa accadrebbe in caso di libero accesso alle professioni intellettuali senza competenze accademiche ed esami di stato, è rinvenibile proprio nella breve epopea degli “economisti autodidatti”.
Trattasi di movimento avviato verso l’inevitabile estinzione. Come tutti i movimenti brevi ma intensi (si pensi alla scapigliatura o al futurismo), esso è stato caratterizzato da grande forza comunicativa mista a buona dose di demagogia, oltre che a scarsa sostanza di argomenti. Va da sè che, come in tutti i movimenti brevi ma intensi, i suoi protagonisti, “gli economisti autodidatti” considerano il resto del mondo una massa di minorati mentali.
L’accesso incontrollato di tali personaggi agli organi di stampa più accreditati, che ha comportato osannanti genuflessioni da parte di politica ed istituzioni, ha prodotto la breve e sofferta esperienza dell’esecutivo Prodi.
Inopinatamente, la trimurti “libertà-semplificazioni-concorrenza” è riuscita comunque a far danni, consegnandoci un’Italia nella situazione più drammatica della sua storia unitaria, Caporetto e 8 settembre esclusi.

La libera fissazione delle tariffe professionali, introdotta da un decreto in forte odore di illegittimità, ha di fatto legalizzato le illegalità; peraltro già esistenti da molto tempo all’interno delle categorie professionali più numerose.
Al consumatore si racconta la favola del professionista che vale l’altro e lo si espone ad una selvaggia corsa al ribasso, che significa, incompetenza, inefficienza, furto autorizzato.
Vi è poi la grave questione dell’accesso alle professioni che, per rispondere alle improvvide affermazioni del garante, in linea di principio dovrebbe essere ristrettissimo, per assicurare a tutti i cittadini il massimo servizio possibile, sia per competenza che per assunzione di responsabilità.
Secondo il Garante, invece, tale accesso dovrebbe essere, di principio, libero e non controllato; in pratica tutti devono poter fare tutto, in barba agli studi, al superamento dei concorsi, ad un minimo di selezione, senza una parvenza di meritocrazia. L’opposto della concorrenza, in pratica.
Come è possibile allora, ci si chiede, che in Francia i Cassazionisti siano circa 1000, mentre in Italia decine di migliaia, a fronte di risultati opposti?
La verità è che la concorrenza nelle attività intellettuali “qualificate” va armonizzata con l’esigenza di garantire un prodotto “minimo” sufficiente a chiunque; questo lo si può avere solo attraverso selezioni il cui rigore sia direttamente proporzionale alle competenze richieste; altro che libero accesso.
La concorrenza nelle professioni va tutelata garantendo all’utente la più ampia, libera ed incondizionata libertà di scelta del professionista. Se uno studio legale mi offre assistenza contro il vicino di casa a 100 € è difficile per l’utente scegliere di spenderne 1.000 da un giovane e competente avvocato.
In un mondo professionale dominato dalla concorrenza di mercato, sarebbe legittimo inoltre servirsi dei procacciatori d’affari, giustificandosi così il professionista che raccatta la clientela grazie a mazzette e regalini sparsi a destra e a manca; nel mercato è pienamente lecito servirsi di “procacciatori” che propongono benefit, sconti, premi o altre elargizioni, come è pienamente lecito sviare la clientela, anche svilendo i prodotti dell’avversario. Si vuole lo stesso per le professioni?
Non si riesce invece ad immaginare l’applicazione di un criterio assoluto di libera concorrenza nella professione notarile. Procure, certificati, attestazioni, verbali di assemblea di società per azioni, testamenti, mutui ipotecari e contratti affidati alle cure del miglior offerente: allucinante.
Lo Stato delega una delle sue funzioni più rilevanti e complesse e attribuisce al notaio un compito fondamentale nel sistema processuale e probatorio, ma lo fa solo a seguito di una rigida selezione e imponendo una gravosa assunzione di responsabilità, che non ha eguali.
Sostenere che anche la funzione notarile debba essere sottoposta al principio di libera concorrenza commerciale, significa avere una certa confusione concettuale e mentale.
Confusione concettuale che si aggrava nel momento stesso in cui si solleva il dubbio che le norme deontologiche notarili siano armi affinate in ottica anticoncorrenziale. E qui sta un’altra, eclatante mistificazione della realtà.
Il vizio del ragionamento sembra ancora essere l’equazione notaio-profitti che ormai è un peccato d’infamia ontologico, mai commesso dalla stragrande maggioranza della categoria notarile, eppure cavalcato alla grande dall’antitrust e dalla decretazione Bersani in modo demagogico. Trattasi peraltro di atteggiamento sospetto, in quanto proveniente da una classe dirigenziale astrattamente in possesso di nozioni e cultura qualificate oltre che di dati ufficiali, che dovrebbe capire che tale peccato d’ingordigia, se vi è stato, è stato commesso proprio da parte di quella frangia di professionisti che si intende favorire.
E’ intellettualmente disonesto, inoltre, l’atteggiamento di disprezzo mostrato nei confronti dell’opera di rinnovamento disciplinare compiuta dalla categoria notarile.
Non cogliere il senso istituzionale e l’interesse pubblico sotteso alla normativa deontologica è deprecabile ma non impossibile; quando però, sulla base di voci di corridoio ed in assenza di documenti ufficiali, si instilla il dubbio che il tetto repertoriale possa dissimulare uno strumento anti-concorrenziale, si arriva alla vera e propria offesa gratuita.
Ciò che il sistema notariato cerca di garantire è una concorrenza semplicemente lecita.
Quella che lo Stato e le sue Autorità devono garantire, concludendo, non è solo – o in astratto - la “concorrenza”.
Quella che lo Stato e l’Autorithy hanno l’obbligo di garantire è una concorrenza innanzitutto lecita.
Va garantita e chiesta a gran voce una concorrenza che tenga conto delle regole e dei presupposti naturali e precipui di ogni settore di pubblico interesse come di diritto privato.
La concorrenza serve a liberare il cittadino nelle scelte purchè nelle stesse scelte egli sua tutelato e non ingannato dalla stessa legge.
Un cuscinetto a sfera non è un ricorso in cassazione.
Un’autoradio non è un atto di compravendita.
Una mattonella non è una visita oculistica.

lunedì 7 luglio 2008

Vicissitudini … professionali

di Adriano Pischetola

Avevo deciso di prendermela ‘tranquilla’. E seduto nello scompartimento del treno, di ritorno verso casa, un pò per ingannare il tempo, un pò per scoprire finalmente l’epilogo di una storia che durava da tanto tempo, leggiucchiavo le ultime avventure di Harry Potter, con la segreta speranza che fossero veramente ... le ultime.
Ma, una discussione prima pacata, poi dai toni sempre più sostenuti, intrattenuta da due casuali compagni di viaggio, ad un certo punto mi distolse dalla lettura. E non potevo di certo continuare indisturbato a leggere della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts e dei connessi eventi, sentendo parlare di ‘seccature varie’, di ‘parcelle esorbitanti’, di proporzionalità tra le legittime aspettative del cliente e gli effettivi risultati di una certa prestazione professionale resa da un tal avvocato (che … veniva qualificato da uno dei due dialoganti, a suo dire protagonista di una vicenda infausta, come … ‘quello delle cause perse’) e compagnia cantando.
L’altro, più serafico, sembrava invece (direi di più, dimostrava di essere) visibilmente soddisfatto: anzi il contrappasso tra la stizza del primo e il compiacimento del secondo mettevano ancora più in risalto il contrasto degli umori e, indirettamente, l’antinomia delle situazioni umano-professionali che avevano vissuto.

Ma cosa era successo di tanto eclatante per l’uno e di così rassicurante per il secondo ?

Beh il primo, in effetti, era venuto fuori (per quanto egli stesso riferiva) da una crisi familiare e coniugale di certo di non poco conto, conclusasi con una separazione consensuale. Ma, oltre le ansie e l’angoscia collegate con la situazione in sé, qualcosa non aveva funzionato nemmeno sul piano formale, creandogli non poche noie. Infatti nell’ambito degli accordi di separazione aveva convenuto con il coniuge di costituire a suo favore un usufrutto vitalizio su alcuni terreni agricoli, per assicurarle la possibilità di trarne un reddito in caso di affitto o comunque il godimento. Sennonché, all’atto della sottoscrizione degli accordi anche con effetti costitutivi, sembra che l’avvocato (cui si erano rivolti i coniugi per predisporre le intese) non avesse rappresentato ad alcuno la necessità di allegare al documento portante gli accordi il certificato di destinazione urbanistica (né tanto meno il tribunale ne aveva rilevato l’assenza in sede di omologa del relativo verbale). Il Conservatore dei Registri Immobiliari a sua volta aveva rifiutato la trascrizione di un siffatto accordo, e, in estrema sintesi, il ‘nostro’, scoprendo dopo parecchio tempo che gli accordi non risultavano trascritti e a fronte della richiesta del coniuge di ottenere la trascrizione necessaria anche all’istruttoria di un finanziamento nel frattempo richiesto ad una banca, aveva dovuto conferire incarico ad altro avvocato per integrare gli accordi originari, con una ragguardevole spesa complessiva. Ma soprattutto chiedendosi come mai il legale cui si era rivolto per primo non avesse provveduto all’epoca con la dovuta diligenza … se era stato giusto corrispondergli gli onorari (nemmeno tanto contenuti) che aveva richiesto, come era possibile che un ‘legale’ commettesse una siffatta ingenuità e, in ultima analisi, che ogni spesa è ben fatta quando consente di realizzare in modo utile un risultato positivo, senza troppe grane per i cittadini.

Il secondo interlocutore, rimasto nel frattempo in silenzioso ascolto, sembrava quasi attonito, di fronte allo sfortunata vicissitudine occorsa all’altro. E quasi per mitigarne il disagio, raccontava al contrario che si era trovato qualche tempo addietro protagonista di una vicenda immobiliare, conclusasi per fortuna per il verso giusto. Riferiva di essere stato proprietario di un vecchio e quasi fatiscente appartamento posto a circa a 150 m. dal duomo del suo paesino, nel cuore del centro storico. Aveva poi trovato da venderlo, ad un prezzo discreto. La trattativa era andata avanti senza intoppi di nessun genere, anzi lo stesso agente immobiliare facendosi ‘forte’ delle visure ipotecarie aggiornate (egli aveva avuto cura di sottolineare) alla mattina stessa aveva assicurato che non vi erano impedimenti per la vendita. Quel giorno, convocati entrambi dinanzi al notaio che doveva stipulare l’atto, venditore ed acquirente, il primo, forse per scrupolo, ma soprattutto perché il notaio gliene aveva fatta espressa richiesta, aveva tirato fuori dal fascicolo delle sue carte (relative all’immobile da vendere) una comunicazione che gli era stata notificata qualche giorni prima dalla locale Soprintendenza ai beni culturali. Nella comunicazione gli si dava notizia dell’avvio di un procedimento finalizzato a verificare se quell’appartamento (a suo dire senza nessun valore economico intrinseco) avesse o meno rilevanza in quanto ‘bene culturale’. Insomma il famoso ‘vincolo’ sull’immobile non era ancora stato imposto (altrimenti il notaio lo avrebbe rilevato dai suoi accertamenti), ma il procedimento risultava avviato. Sicché - così questi gli aveva spiegato – seppure solo in via cautelativa, e in attesa delle definitive determinazioni del Ministero circa l’(eventuale) imposizione del vincolo, era obbligatorio comunque soggiacere alle doverose prescrizioni di legge, con gravi sanzioni anche penali (compreso l’arresto !) in caso di mancata osservanza. Aveva così sì venduto quell’immobile, ma aveva correttamente denunciato la vendita al Ministero per comunicare il trasferimento di proprietà e l’immissione in possesso di altro soggetto.
Tutto era 'filato liscio', concludeva il ‘nostro’, e confessava di aver apprezzato la professionalità e l’oculatezza del pubblico ufficiale rogante, doti che a suo dire in una figura dall’alto profilo istituzionale non potevano mancare.

La discussione era stata avvincente, per me istruttiva … ma intanto ero arrivato a destinazione. Raccoglievo con grande lena le mie poche robe, il libro di Harry Potter, salutavo fugacemente gli interlocutori e finalmente guadagnavo il predellino e poi la banchina …
E pensavo … Già ! … storie diverse quelle dei miei occasionali compagni di viaggio, ma entrambe segnate da una nota comune: l’importanza di assegnare a ciascuno in questa società i ruoli che gli competono, senza facili e pericolose commistioni, invasioni di campo, sovrapposizioni e semplificazioni ‘fuori bersaglio’ ecc … in un ambito, quello delle professioni, che può incidere invasivamente (talvolta in modo irreparabile) sugli alterni destini dei soggetti dell’ordinamento.
In fondo ne va non solo delle tasche, ma soprattutto della serenità e del rispetto effettivo della legalità per ognuno di noi, quale che sia la parte che occupiamo nel gioco dei complessivi interessi.

La capacità e la meritevolezza

di Luca Restaino

Assunti agli onori della cronaca su "il Mondo" apprendiamo in via definitiva che la possibilità di portare avanti una discussione seria e concreta sul sistema Notariato in Italia si scontra contro la nostra principale - e pare a questo punto unica - colpa: guadagnamo troppo; o almeno così è a leggere il Mondo.
Viene da chiedersi: se i Notai evadessero come fanno MOLTE altre categorie, non solo professionali, maggiore sarebbe il loro diritto di discutere dell’Istituzione Notariato senza preconcetti?

Dopo questa breve premessa, qualche accenno sulla capacità e meritevolezza in Italia perchè pare che nel nostro paese stia avanzando in maniera dirompente un concetto: tutti possiamo fare tutto e, sopra tutto, tutti possono fare i notai, poco importa se non abbiano superato il concorso.
Proseguendo su questa linea ad essere scardinato non è e non sarà solo il Notariato ma l’essenza stessa della nostra Carta Costituzionale la quale dedica particolare attenzione ai capaci e meritevoli e prevede non solo il diritto degli stessi a raggiungere i gradi più alti degli studi ma prevede soprattutto il CONCORSO come strumento di selezione dei capaci e meritevoli di esercitare funzioni pubbliche, vuoi che si tratti della magistratura, vuoi che si tratti del notariato.
Affermare che tutti possono fare tutto – anche senza aver superato il relativo concorso - significa negare i principi sui quali si è retto il nostro ordinamento costituzionale, significa negare il valore dello studio, dell’impegno, la cultura ed il concetto del sacrificio, valori e principi che hanno sempre creato nel nostro paese eccellenze, e ciò non solo nei settori professionali.
Allo Stato, a quello Stato nel cui nome ogni giorno attribuiamo pubblica fede ad atti e contratti dopo averne riscontrato la liceità, vorrei chiedere: potrò insegnare a mio figlio il valore ed il significato del sacrificio, dello studio, potrò indicargli la via dell’abnegazione e dell’impegno come UNICA strada per raggiungere posizioni alte all’interno della società o sarò costretto a dirgli di non perdere tempo con codici, libri e leggi, e, piuttosto, di andare al mare o meglio sull’Isola dei Famosi, tanto prima o poi arriverà un decreto legge che attribuirà il titolo di notaio e le relative funzioni e responsabilità (i conseguenti redditi saranno a qual punto solo un lontano ricordo) a chi nella vita non ha fatto NIENTE per tutto ciò ?

mercoledì 2 luglio 2008

I "postini" e la certezza del sistema

di Enrico Maccarone (tratto da www.InterLex.it e pubblicato con il consenso dell'autore)

Dalla stampa e da comunicati di varia fonte apprendiamo che nel disegno di legge che anticipa la manovra finanziaria 2008 (e del quale non è stato a tutt’oggi depositato o pubblicato un testo definitivo) è compresa la seguente disposizione:
Il secondo comma dell’articolo 2470 del codice civile è sostituito dal seguente:
L'atto di trasferimento, sottoscritto digitalmente nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti informatici, ovvero con sottoscrizione autenticata, dal notaio, deve essere depositato entro trenta giorni, a cura di un intermediario abilitato al deposito degli atti al registro delle imprese di cui all’articolo 31, comma 2-quater della legge 24 novembre 2000, n. 340, ovvero a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. L'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su richiesta dell'alienante o dell'acquirente, verso esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito, rilasciato dal professionista che vi ha provveduto ai sensi del precedente periodo.
Così come formulata, si tratta di una norma dirompente e della quale non è dato comprendere appieno financo il fine politico, che appare ben diverso da quello fin qui indicato o addirittura esaltato da quanti hanno proposto o favorevolmente commentato l’iniziativa.
Al di là delle considerazioni di natura politica e della facile polemica, desidero provare a far chiarezza a me stesso ed a chi avrà la bontà di leggermi sulla effettiva portata giuridica della norma proposta, non potendo fare a meno, comunque, di sottolineare l’inidoneità della scelta operata dal legislatore di inserire la stessa all’interno di un provvedimento finanziario anziché nell’ambito più appropriato e consono della normativa di riforma delle professioni.
L’art. 2470 vigente del codice civile recita:
"Efficacia e pubblicità [1] Il trasferimento delle partecipazioni ha effetto di fronte alla società dal momento dell'iscrizione nel libro dei soci secondo quanto previsto nel successivo comma.[2] L'atto di trasferimento, con sottoscrizione autenticata, deve essere depositato entro trenta giorni, a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. L'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su richiesta dell'alienante o dell'acquirente, verso esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito. In caso di trasferimento a causa di morte il deposito e l'iscrizione sono effettuati a richiesta dell'erede o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta per l'annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni.[3] Se la quota è alienata con successivi contratti a più persone, quella tra esse che per prima ha effettuato in buona fede l'iscrizione nel registro delle imprese è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.[4] Quando l'intera partecipazione appartiene ad un solo socio o muta la persona dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio.[5] Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l'iscrizione nel registro delle imprese.[6] L'unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti.[7] Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti quarto e quinto comma devono essere depositate entro trenta giorni dall'iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di tale iscrizione.”
In maniera del tutto evidente, la norma attuale prevede che per l’opponibilità e validità del trasferimento di una quota di srl debbono eseguirsi, nell’ordine:
- la sottoscrizione di un atto autentico di trasferimento (senza distinzione tra atto pubblico o scrittura privata autenticata);
- il deposito dell’atto così formato presso il registro delle imprese, a cura del notaio rogante o autenticante;
- l'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci, su richiesta dell'alienante o dell'acquirente, verso esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito.
A ciò debbono poi aggiungersi tutti gli altri adempimenti prescritti dalla legge notarile (conservazione dell’originale presso il notaio), dalla normativa fiscale (assolvimento imposte di bollo e registro) e dalle leggi speciali in tema di privacy ed antiriciclaggio e, non ultimo, il pagamento dei diritti e delle imposte di bollo da versare al registro delle imprese
Ulteriore elemento qualificante per la bontà e validità del deposito è dato dall’invio telematico attraverso sistemi protetti (non a caso definiti dal Ministero dell’interno come infrastrutture critiche informatiche di interesse nazionaleDM 9 gennaio 2008) e dall’utilizzo del sistema di firma digitale del notariato che, attraverso il Consiglio nazionale in veste di certificatore accreditato, garantisce appieno ed in via esclusiva la pubblica funzione del notaio sottoscrittore, al contrario di quanto avviene con altri certificatori ed ordini professionali.
Cosa cambia con la novella proposta ? Per il notaio, proprio nulla; per gli utenti e per la certezza del sistema molto, e in peggio.
Una prima riflessione deve farsi su quello che, da civilista e notaio, definirei un “attentato” alla “autoreferenzialità” del codice civile. Scorrendone tutti gli articoli, e fatti salvi un paio di essi da tempo abrogati, non ho trovato da alcuna parte ed al loro interno alcun richiamo a norme estranee al codice civile stesso. Se nel codice esiste un richiamo, esso è ad altre sue norme e mai a leggi o regolamenti. Il richiamo all’articolo 31, comma 2-quater della legge 24 novembre 2000, n. 340 laddove approvato costituirebbe quindi una eccezione, una anomalia grave e difficilmente sanabile del sistema codicistico.
Altra riflessione deve farsi sul concetto di atto sottoscritto digitalmente nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti informatici.
La definizione è pleonastica. Sarebbe stato sufficiente dire … “sottoscritto digitalmente” senza ulteriori specificazioni per individuare una fattispecie giuridicamente ben individuata e già ampiamente disciplinata dalla legge.
Ciò giustifica il malizioso sospetto che l’estensore materiale della norma abbia ben poca dimestichezza con la disciplina giuridica della firma digitale e con gli effetti che alla utilizzazione di quest’ultima vengono riconosciuti dal nostro ordinamento.
L’allocuzione “sottoscritto digitalmente” richiama, come già accennato, una fattispecie ben precisa e chiaramente disciplinata all’interno del codice dell’amministrazione digitale (CAD) approvato con decreto legislativo 5 marzo 2005, n. 82 e successivamente modificato con decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 259.
Siamo cioè nell’ipotesi di documento informatico sottoscritto mediante utilizzo di firma digitale “a norma” (art. 24 CAD) ed al quale l’ordinamento riconosce valenza di scrittura privata non autenticata (art. 21 CAD), valida fino a prova contraria.
Una valenza, è bene precisarlo, un buon gradino sopra quella riconosciuta al documento sottoscritto con firma “elettronica” (liberamente valutabile dal giudice) ma anche, come sostenuto dai migliori studiosi non solo italiani, un piccolo gradino sotto il documento cartaceo sottoscritto con firma autografa (non autenticata).
Sempre a norma dell’art. 24 CAD, per la generazione della firma digitale deve adoperarsi un certificato qualificato che, al momento della sottoscrizione, non risulti scaduto di validità ovvero non risulti revocato o sospeso.
Attraverso il certificato qualificato si devono rilevare, secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 71, la validità del certificato stesso, nonché gli elementi identificativi del titolare e del certificatore e gli eventuali limiti d'uso.
Ben diversa è l’ipotesi di “firma digitale autenticata” disciplinata dall’art. 25 CAD ed alla quale la norma in esame non fa alcun riferimento, così contraddicendo e totalmente sconfessando quanti vogliono fare intendere che con la novella proposta si attribuisce potere di autentica a qualsiasi “intermediario abilitato al deposito degli atti al registro delle imprese di cui all’articolo 31, comma 2-quater della legge 24 novembre 2000, n. 340”.
Il potere che la novella attribuisce a questi ultimi è, quindi, soltanto quello di fungere da meri “postini” (sia detto col massimo rispetto per gli uni e per gli altri) abilitati soltanto alla trasmissione di “documenti informatici con valenza di scritture private non autenticate” al registro delle imprese.
E proprio in questo è il pericolo che la novella porta con sé: quello di far considerare un semplice documento informatico, sottoscritto con firma digitale “a norma”, alla stessa stregua di un documento informatico autenticato.
Si confonde cioè il dettato dell’art. 24 CAD con la particolare previsione di cui al successivo art. 25 stesso CAD.
Una confusione imperdonabile ed inaccettabile se fatta da un legislatore che della innovazione digitale intende fare un cavallo di battaglia ed un vessillo della propria attività di governo.
Ammesso e non concesso il potere del legislatore di rivedere verso il basso il sistema delle garanzie civilistiche, sconvolgendo al contempo la validità e attendibilità dei pubblici registri (introducendo il principio della loro modificabilità mediante invio di semplici scritture private non autenticate, quali i documenti informatici), non è affatto chiaro come collocare la novella all’interno del nostro sistema fiscale e, ancor di più, nell’ambito della normativa antiriciclaggio e della lotta all’evasione fiscale.
La proposta di legge non prevede alcun onere o obbligo a carico dell’intermediario: sistematicamente non può certo prevederlo all’interno di una norma codicistica, ma, singolarmente, non lo prevede neanche in norme accessorie o collegate.
E' noto che il notaio è obbligato al pagamento delle imposte di bollo e di registro nascenti dall’atto ricevuto o autenticato, un pagamento che viene garantito sempre e in ogni caso allo Stato: nella proposta di legge nulla si dice a tal proposito per gli atti di trasferimento di quote di srl da depositarsi a cura degli intermediari, il che, trattandosi in questa ipotesi di imposte da pagare in caso d’uso, giustifica il timore di una prevedibile e massiccia evasione fiscale, non quantificabile, ma sicuramente ingente.
Se non vi è responsabilità personale, di certo l’evasione è garantita, non per malizia ma nei fatti.
Altrettanto dicasi per la tracciabilità dei pagamenti e per il rispetto della normativa antiriciclaggio cui l’intermediario “postino” non è assolutamente obbligato: nell’ipotesi in esame egli è soltanto un nuncius e come tale non esplica alcuna attività professionale tra quelle contemplate dalle norme antielusione.
Nasce il dubbio, se non la certezza, che per soddisfare una promessa politica si è involontariamente incorsi in un macroscopico errore, e cioè nella creazione di un doppio binario.
Così come argutamente e correttamente evidenziato da Manlio Cammarata il 26 giugno scorso (Un "baco" che non c'è e una scorciatoia per i disonesti) “se questa norma dovesse passare, per i trasferimenti delle quote delle società a responsabilità limitata ci sarebbe un doppio binario: il primo, più lento e costoso, per le persone oneste, che ricorrerebbero al notaio per attestare la regolarità del trasferimento; il secondo, più economico e rapido, per i disonesti, con la firma digitale e la trasmissione da parte dell'intermediario abilitato (di solito un commercialista, quello che molte volte detiene illecitamente il dispositivo di firma del cliente, vedi E' illecito affidare il dispositivo di firma al commercialista)”.
E ben noto che il sistema delle società a responsabilità limitata costituisce, non solo in Italia, uno dei rifugi preferiti per ripararsi dalla morsa fiscale e che molto spesso un trasferimento di quota di modesto valore nominale (sul quale viene applicata la vigente tariffa notarile) nasconde in realtà un movimento di denaro per nulla irrilevante (sul quale, peraltro, viene liquidata la parcella di altri professionisti).
Ciò non significa necessariamente che ogni trasferimento di quota sociale debba considerarsi atto elusivo, ma a mio giudizio meglio avrebbe fatto il legislatore a proporre non tanto la modifica del vigente art. 2470 C.C., quanto la necessità di allegare ad ogni atto di trasferimento un documento comprovante l’effettivo valore della quota trasferita, meglio ancora se a firma di uno dei soggetti oggi promossi “postini” sul campo.
Ma chi conserverebbe i documenti informatici “originali”?
Il Notariato già possiede un sistema di archiviazione “a norma”. E gli altri ordini professionali ?