di Andrea Bortoluzzi
C'era un bel sole quella mattina e il fico che nascondeva il pollaio domestico al di là delle rotaie era lussureggiante.
Era stata una stagione di forti piogge e l'aria era pulita e frizzante tanto che i polmoni mandavano al cervello una sensazione di gioia.
Le montagne si rivelavano al di là degli alberi in un vestito di colore viola, il colore della luce rifratta da nuvole che si liquefacevano al sole combinata al blu del cielo e all'ultima neve estiva.
Mentre il suo cervello prendeva appunti inviati dagli occhi il treno per la metropoli si annunciò arrancando su una lieve salita annunciato dallo scampanio del segnalatore d'arrivo.
Uno studente in ritardo lo spinse quasi di forza dentro lo scompartimento semi-vuoto dove una donna era assorta nella lettura di un giornale e un manager picchiettava sui tasti del suo portatile.
Il treno lentamente si mise in viaggio. Prese posto su un sedile vuoto posando a terra il sacchetto che conteneva un pacco dono da consegnare ad una amica che quel giorno prendeva congedo dal Tribunale dove aveva servito per più di dieci anni. Aprì la borsa e prese ad armeggiare col suo telefono computer. Prese alcuni appunti: risposte traduzione inglese articolo Amministratore Sostegno; mandare a prof. Sacco articolo Dickens; cercare con Silvia foto zio Dante per plaquette; fiori relatrice Rotary; progetto siticibo; sentire Susanna; incontro distretto socio assistenziale; dire Giovanni semifreddo al parmigiano. Il computer suonò. Discretamente si fece sentire da Gianni che lo chiamava per dirgli di non preoccuparsi di Tailhouse che stava investendo molte risorse a fini di carriera dentro il club "Vai avanti per la tua strada" aggiunse "buon viaggio".
Pensò che Gianni fosse davvero un buon aiuto. Così riprese in mano il computer e gli invio un sms" Gianni grazie !"
Alla stazione del capoluogo era salita una biondina che si era seduta di fronte a lui. Era una biondina di mezza età di quelle che hanno deciso di rintanarsi dentro di loro e dal suo viluppo sporgeva solo un grande naso.
Prese dalla borsa il saggio del prof. R. fresco di stampa per i tipi della università. Capì che si trattava d'appunti raccolti in modo quasi sgangherato. Le pagine appena sbocconcellate dettavano lezioni su tutto: come si deve praticare la professione; come si deve insegnare; come si deve intendere il diritto. La lettura era davvero un incubo e così il naso che fuoriusciva dalla biondina seduta di fronte a lui unito allo sventagliare della tenda del finestrino aperto sugli orti suburbani dal treno in corsa gli parve un corvo nero che volesse avventarglisi addosso. Manifestò un certa irritazione per la visione stropicciandosi gli occhi e abbandonando la lettura. Il corvo scomparve e di fronte a lui il naso della biondina diventava un grande punto interrogativo. Sul sedile al di là del corridoio uno studente era immerso nella lettura di formule matematiche.
Pensò che il naso e le formule non fossero che un quadro cui mancava una voce che veniva da lontano.
Quella della prof. Lavatelli "un mezzo più due quarti fratto due. Cosa rimane ?" Cosa rimane cosa rimane la domanda gli rimbombava minacciosa nel cervello mentre pedalava a casa sulla Bianchi rosso fuoco con manubrio sportivo e palmerini. "Che cosa rimane ?"
Cosa gli era rimasto. Il fresco della casa che gli dava il benvenuto dopo la pedalata sotto il sole di luglio. Un odore acre di polvere mista a antitarme che veniva dagli armadi. Il sudore che rugiadoso appariva sotto forma di perline intorno alla bocca della Lavatelli. La grande voglia di uscire di là per andare a giocare con gli amici.
Si stropicciò di nuovo gli occhi e guardò fuori dal finestrino. Il treno frenò entrando nella stazione metropolitana.
Scese dal treno e camminò sul marciapiede camminando tra la folla come faceva quando andava a prendere l'autobus per Pavia all'epoca dell'università. Un caffè prima di salirvi in compagnia della borsa similpelle in dotazione da casa contenente biancheria fresca di bucato e dell'ultimo numero di Linus da sfogliare con le fotografie del viaggio già immagazzinate nel cervello scatto dopo scatto, la città che sfilava verso il naviglio e poi via per il lungo rettilineo tra gli argini dei canali sino a Pavia.
Fuori c'era Guido suo figlio che lo aspettava. Guido era alto e di nobile portamento con una vaga peluria che gli incorniciava il bell'ovale del viso, un viso rinascimentale come si conveniva alle nobili origini materne austero e insieme mite, di una mitezza di altri tempi.
Indossò il casco, un casco sproporzionato per la sua testa in cui affondò ben sotto la fronte e come un soldato prussiano goffo e marziale insieme sedette sul sedile posteriore della vespa che Guido condottiero di ventura gli offriva come trasporto veloce sino all'Archivio Distrettuale. Al primo sorpasso a destra di una colonna di auto recitò in silenzio un avemaria e si fece condurre come in una sequenza in movimento e lui fosse alla cinepresa per il centro di Milano.
Avvertiva una sorta di straniamento, il capo gli girava o forse era la città che ruotava intorno a lui dandogli una sensazione di nausea e la sua immagine riflessa dalle vetrine era quella assai goffa di un fante abbracciato ad un generale sul suo destriero. Sudato per la tensione provocata dal percorso in motorino e dal sole ora appiccicoso di luglio, un sole di ben più bassa qualità di quello della stazione del primo mattino e assistito da un'aria appiccicosa che arrivava pesante ai polmoni e mandava segnali grevi al cervello, si accinse a entrare all'Archivio. Vigilantes dall'aria sudamericana lo dirottarono ad una entrata presidiata elettronicamente. Posò sul nastro la borsa, passò attraverso la porta elettronica che emise un fischio segnalatore. Dovette togliere la cintura dei pantaloni e fu passato sul corpo da uno strumento segnala oggetti. Venne fatto passare. Entrò nel cortile dove da furgoni della polizia carceraria venivano fatti scendere ammanettati carcerati dai volti deprivati di ogni fisionomia che non fosse quella di pacchi da consegnare alla giustizia penale, i pacchi in carne ed ossa di quel giorno.
Passò veloce attraverso il cortile per salire le scale che davano all'Archivio. Proprio in quell'istante si aprì la porta e una giovane dal corpo filante, le gambe strette in un paio di jeans aderenti e il petto costretto in un top fasciante e scollato si fece avanti salutandolo e portando alla bocca una sigaretta.
Guido la guardò con aria interessata giudicandola "notevole" e lui mentalmente la inquadrò in una delle migliaia di fotografie pubblicitarie che lo assediavano ad ogni lettura di giornale o rotocalco che fosse. Una sorta di immagine asessuata e incorporea, un'opera pop, pensò forse di Frank Stella, il suo titolo giusto avrebbe potuto essere "Woman facing outdoor".
Fece di fretta le scale e si incamminò per il grande corridoio fascista che dava alla sala del Conservatore. Fece notare a Guido lo sperpero di spazi di quella architettura celebrativa. Nel corridoio le figure umane che usavano di quell'immensità venivano annullate e usate come comparse di un film sul ventennio.
Anche i due personaggi che lo aspettavano il Presidente del Consiglio Notarile e il Capo dell'Archivio avevano tutta l'aria di attori di quel film in cui si trovava a fare da personaggio involontario.
Il Capo volteggiava sulla scrivania complimentandosi per una sua apparizione televisiva su una stazione locale che celebrava la sua recente nomina a Presidente del Rotary della sua città, il Presidente annuiva sornione. Gli parve di doversi scusare per l'apparizione del tutto insignificante per quel contesto e borbottò un "già sì ma, una cosa da nulla" quando il Capo cambiato repentinamente di tono di voce, lo guardò con fare irritato e colpevolizzante e gli chiese "abbiamo riscontrato che lei notaio lascia dopo l'intestazione Repubblica Italiana una riga in bianco in molti contratti. Come mai ?" Una riga in bianco pensò, che cosa strana ! Non veniva redarguito perché avesse scritto qualcosa che non andava, che era biasimevole, che era illegittimo ma perché non aveva occupato un riga col suo scritto. Già perché la riga in bianco ? Un riga in bianco può fare nascere nel burocrate sospetti ben più gravi di una riga vergata a tutto tondo. Per chi è abituato a controllare le righe scritte la riga non scritta poteva suonare come condanna alla inutilità del suo lavoro Si perché almeno "avrebbe dovuto interlinearle quelle righe" disse il Capo. Il Presidente gravemente annuiva masticando la sua pipa. Perché non aveva interlineato ?
Disse qualcosa senza grande convinzione. " Se si tratta di contratti di mutuo lo spazio in bianco era una volta lì lasciato per esser completato volta fotocopiato l'originale per il rilascio della copia munita della formula esecutiva con la frase "In nome delle legge". Lo spazio andava successivamente interlineato”. Ne nacque un gran dibattito sul luogo di apposizione della formula. Il Presidente sosteneva a gran voce che l’ "In nome della legge" dovesse precedere il Repubblica Italiana, il Capo che comunque una tal prassi non potesse che rendersi pericolosa come nel caso di specie. Era insomma colpevole di riga bianca. Siccome non si mostrava abbastanza contrito e guardava con aria incredula e forse anche smarrita i suoi interlocutori il Capo decise di chiamare a gran voce l'ispezionante. Si fece avanti allora la ragazza della porta, la "Woman facing outdoor" che come in un film di Fellini gli porse con un sorriso malizioso uno degli oggetti del peccato. La riga era sicuramente bianca e guardando la ragazza pensò che il titolo della scultura pop avrebbe potuto essere in quel momento "Unsatisfied woman". La cosa stava prendendo davvero una brutta piega. La riga lasciata in bianco e non riempita, la signorina ispezionante in abiti succinti che appariva insoddisfatta che avesse lasciato la riga immacolata. Il Capo decise di toglierlo di impaccio mettendogli sotto il naso il verbale di ispezione. Alla voce "dichiarazioni del sottoposto alla ispezione" gli impose di scrivere "Nulla". Così fece. Era dunque colpevole del reato di riga in bianco. Non importava nulla a quei signori che avesse scritto pagine e pagine di contratti conformi alla legge e alla volontà della gente che si era rivolta ai suoi servizi. Non era tollerabile che avesse lasciato un riga in bianco. In preda ad una strana angoscia lasciò la sala omaggiato dal Capo e dal Presidente. Fuori lo aspettava il suo mite figlio dal volto rinascimentale. Abbarbicarsi a lui sul motorino come un fante prussiano condotto a cavallo da un generale gli parve una prospettiva riabilitante.
Era stata una stagione di forti piogge e l'aria era pulita e frizzante tanto che i polmoni mandavano al cervello una sensazione di gioia.
Le montagne si rivelavano al di là degli alberi in un vestito di colore viola, il colore della luce rifratta da nuvole che si liquefacevano al sole combinata al blu del cielo e all'ultima neve estiva.
Mentre il suo cervello prendeva appunti inviati dagli occhi il treno per la metropoli si annunciò arrancando su una lieve salita annunciato dallo scampanio del segnalatore d'arrivo.
Uno studente in ritardo lo spinse quasi di forza dentro lo scompartimento semi-vuoto dove una donna era assorta nella lettura di un giornale e un manager picchiettava sui tasti del suo portatile.
Il treno lentamente si mise in viaggio. Prese posto su un sedile vuoto posando a terra il sacchetto che conteneva un pacco dono da consegnare ad una amica che quel giorno prendeva congedo dal Tribunale dove aveva servito per più di dieci anni. Aprì la borsa e prese ad armeggiare col suo telefono computer. Prese alcuni appunti: risposte traduzione inglese articolo Amministratore Sostegno; mandare a prof. Sacco articolo Dickens; cercare con Silvia foto zio Dante per plaquette; fiori relatrice Rotary; progetto siticibo; sentire Susanna; incontro distretto socio assistenziale; dire Giovanni semifreddo al parmigiano. Il computer suonò. Discretamente si fece sentire da Gianni che lo chiamava per dirgli di non preoccuparsi di Tailhouse che stava investendo molte risorse a fini di carriera dentro il club "Vai avanti per la tua strada" aggiunse "buon viaggio".
Pensò che Gianni fosse davvero un buon aiuto. Così riprese in mano il computer e gli invio un sms" Gianni grazie !"
Alla stazione del capoluogo era salita una biondina che si era seduta di fronte a lui. Era una biondina di mezza età di quelle che hanno deciso di rintanarsi dentro di loro e dal suo viluppo sporgeva solo un grande naso.
Prese dalla borsa il saggio del prof. R. fresco di stampa per i tipi della università. Capì che si trattava d'appunti raccolti in modo quasi sgangherato. Le pagine appena sbocconcellate dettavano lezioni su tutto: come si deve praticare la professione; come si deve insegnare; come si deve intendere il diritto. La lettura era davvero un incubo e così il naso che fuoriusciva dalla biondina seduta di fronte a lui unito allo sventagliare della tenda del finestrino aperto sugli orti suburbani dal treno in corsa gli parve un corvo nero che volesse avventarglisi addosso. Manifestò un certa irritazione per la visione stropicciandosi gli occhi e abbandonando la lettura. Il corvo scomparve e di fronte a lui il naso della biondina diventava un grande punto interrogativo. Sul sedile al di là del corridoio uno studente era immerso nella lettura di formule matematiche.
Pensò che il naso e le formule non fossero che un quadro cui mancava una voce che veniva da lontano.
Quella della prof. Lavatelli "un mezzo più due quarti fratto due. Cosa rimane ?" Cosa rimane cosa rimane la domanda gli rimbombava minacciosa nel cervello mentre pedalava a casa sulla Bianchi rosso fuoco con manubrio sportivo e palmerini. "Che cosa rimane ?"
Cosa gli era rimasto. Il fresco della casa che gli dava il benvenuto dopo la pedalata sotto il sole di luglio. Un odore acre di polvere mista a antitarme che veniva dagli armadi. Il sudore che rugiadoso appariva sotto forma di perline intorno alla bocca della Lavatelli. La grande voglia di uscire di là per andare a giocare con gli amici.
Si stropicciò di nuovo gli occhi e guardò fuori dal finestrino. Il treno frenò entrando nella stazione metropolitana.
Scese dal treno e camminò sul marciapiede camminando tra la folla come faceva quando andava a prendere l'autobus per Pavia all'epoca dell'università. Un caffè prima di salirvi in compagnia della borsa similpelle in dotazione da casa contenente biancheria fresca di bucato e dell'ultimo numero di Linus da sfogliare con le fotografie del viaggio già immagazzinate nel cervello scatto dopo scatto, la città che sfilava verso il naviglio e poi via per il lungo rettilineo tra gli argini dei canali sino a Pavia.
Fuori c'era Guido suo figlio che lo aspettava. Guido era alto e di nobile portamento con una vaga peluria che gli incorniciava il bell'ovale del viso, un viso rinascimentale come si conveniva alle nobili origini materne austero e insieme mite, di una mitezza di altri tempi.
Indossò il casco, un casco sproporzionato per la sua testa in cui affondò ben sotto la fronte e come un soldato prussiano goffo e marziale insieme sedette sul sedile posteriore della vespa che Guido condottiero di ventura gli offriva come trasporto veloce sino all'Archivio Distrettuale. Al primo sorpasso a destra di una colonna di auto recitò in silenzio un avemaria e si fece condurre come in una sequenza in movimento e lui fosse alla cinepresa per il centro di Milano.
Avvertiva una sorta di straniamento, il capo gli girava o forse era la città che ruotava intorno a lui dandogli una sensazione di nausea e la sua immagine riflessa dalle vetrine era quella assai goffa di un fante abbracciato ad un generale sul suo destriero. Sudato per la tensione provocata dal percorso in motorino e dal sole ora appiccicoso di luglio, un sole di ben più bassa qualità di quello della stazione del primo mattino e assistito da un'aria appiccicosa che arrivava pesante ai polmoni e mandava segnali grevi al cervello, si accinse a entrare all'Archivio. Vigilantes dall'aria sudamericana lo dirottarono ad una entrata presidiata elettronicamente. Posò sul nastro la borsa, passò attraverso la porta elettronica che emise un fischio segnalatore. Dovette togliere la cintura dei pantaloni e fu passato sul corpo da uno strumento segnala oggetti. Venne fatto passare. Entrò nel cortile dove da furgoni della polizia carceraria venivano fatti scendere ammanettati carcerati dai volti deprivati di ogni fisionomia che non fosse quella di pacchi da consegnare alla giustizia penale, i pacchi in carne ed ossa di quel giorno.
Passò veloce attraverso il cortile per salire le scale che davano all'Archivio. Proprio in quell'istante si aprì la porta e una giovane dal corpo filante, le gambe strette in un paio di jeans aderenti e il petto costretto in un top fasciante e scollato si fece avanti salutandolo e portando alla bocca una sigaretta.
Guido la guardò con aria interessata giudicandola "notevole" e lui mentalmente la inquadrò in una delle migliaia di fotografie pubblicitarie che lo assediavano ad ogni lettura di giornale o rotocalco che fosse. Una sorta di immagine asessuata e incorporea, un'opera pop, pensò forse di Frank Stella, il suo titolo giusto avrebbe potuto essere "Woman facing outdoor".
Fece di fretta le scale e si incamminò per il grande corridoio fascista che dava alla sala del Conservatore. Fece notare a Guido lo sperpero di spazi di quella architettura celebrativa. Nel corridoio le figure umane che usavano di quell'immensità venivano annullate e usate come comparse di un film sul ventennio.
Anche i due personaggi che lo aspettavano il Presidente del Consiglio Notarile e il Capo dell'Archivio avevano tutta l'aria di attori di quel film in cui si trovava a fare da personaggio involontario.
Il Capo volteggiava sulla scrivania complimentandosi per una sua apparizione televisiva su una stazione locale che celebrava la sua recente nomina a Presidente del Rotary della sua città, il Presidente annuiva sornione. Gli parve di doversi scusare per l'apparizione del tutto insignificante per quel contesto e borbottò un "già sì ma, una cosa da nulla" quando il Capo cambiato repentinamente di tono di voce, lo guardò con fare irritato e colpevolizzante e gli chiese "abbiamo riscontrato che lei notaio lascia dopo l'intestazione Repubblica Italiana una riga in bianco in molti contratti. Come mai ?" Una riga in bianco pensò, che cosa strana ! Non veniva redarguito perché avesse scritto qualcosa che non andava, che era biasimevole, che era illegittimo ma perché non aveva occupato un riga col suo scritto. Già perché la riga in bianco ? Un riga in bianco può fare nascere nel burocrate sospetti ben più gravi di una riga vergata a tutto tondo. Per chi è abituato a controllare le righe scritte la riga non scritta poteva suonare come condanna alla inutilità del suo lavoro Si perché almeno "avrebbe dovuto interlinearle quelle righe" disse il Capo. Il Presidente gravemente annuiva masticando la sua pipa. Perché non aveva interlineato ?
Disse qualcosa senza grande convinzione. " Se si tratta di contratti di mutuo lo spazio in bianco era una volta lì lasciato per esser completato volta fotocopiato l'originale per il rilascio della copia munita della formula esecutiva con la frase "In nome delle legge". Lo spazio andava successivamente interlineato”. Ne nacque un gran dibattito sul luogo di apposizione della formula. Il Presidente sosteneva a gran voce che l’ "In nome della legge" dovesse precedere il Repubblica Italiana, il Capo che comunque una tal prassi non potesse che rendersi pericolosa come nel caso di specie. Era insomma colpevole di riga bianca. Siccome non si mostrava abbastanza contrito e guardava con aria incredula e forse anche smarrita i suoi interlocutori il Capo decise di chiamare a gran voce l'ispezionante. Si fece avanti allora la ragazza della porta, la "Woman facing outdoor" che come in un film di Fellini gli porse con un sorriso malizioso uno degli oggetti del peccato. La riga era sicuramente bianca e guardando la ragazza pensò che il titolo della scultura pop avrebbe potuto essere in quel momento "Unsatisfied woman". La cosa stava prendendo davvero una brutta piega. La riga lasciata in bianco e non riempita, la signorina ispezionante in abiti succinti che appariva insoddisfatta che avesse lasciato la riga immacolata. Il Capo decise di toglierlo di impaccio mettendogli sotto il naso il verbale di ispezione. Alla voce "dichiarazioni del sottoposto alla ispezione" gli impose di scrivere "Nulla". Così fece. Era dunque colpevole del reato di riga in bianco. Non importava nulla a quei signori che avesse scritto pagine e pagine di contratti conformi alla legge e alla volontà della gente che si era rivolta ai suoi servizi. Non era tollerabile che avesse lasciato un riga in bianco. In preda ad una strana angoscia lasciò la sala omaggiato dal Capo e dal Presidente. Fuori lo aspettava il suo mite figlio dal volto rinascimentale. Abbarbicarsi a lui sul motorino come un fante prussiano condotto a cavallo da un generale gli parve una prospettiva riabilitante.
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