In questa caduta degli dei alla quale stiamo assistendo, presto vedremo anche mutamenti delle psicologie di massa, perché tramonta anche un altro mito del mercato, l’idea forte alla base della dottrina dell'economia detta neoclassica, quella secondo la quale l’individuo è per natura perfettamente razionale, ed è quindi il miglior consulente di sé stesso: purchè gli vengano messe a disposizione tutte le informazioni per istruire il suo interesse, è sempre razionale e freddo nelle sue scelte, non ha bisogno di nessuno per entrare ad armi pari nell'arena dei mercati, ed è infallibile nell’adottare decisioni corrette.
Quest’idea è tragicamente smentita, perché la “povertà della ragione” non permetterà mai agli individui in carne ed ossa, di disporre e gestire realmente per intero tutte le informazioni mobilitate dal mercato, e ancor meno di immaginare le sottili e complicate astuzie con cui ad esempio i c.d. prodotti finanziari vengono messi a punto dai maghi del marketing, o di stimarne in maniera affidabile gli effetti.
Gli apprendisti stregoni da una parte hanno giocato a poker coi soldi della gente normale, turlupinata da abbaglianti prodotti finanziari, e hanno dimostrato che l’errore è implicito, ma soprattutto, è prevedibile, e dagli specialisti può addirittura essere indotto.
Ma hanno anche essi stessi dimostrato i risultati già raggiunti in sede teorica dagli economisti non-classici, perdendo il controllo della situazione, con prodotti la cui sofisticazione elaborata dagli algoritmi dei computer, è diventata troppo complessa da maneggiare.
“La nostra mente è infatti incapace di analizzare tutte le informazioni utili per compiere correttamente le nostre scelte, e non dispone neppure delle risorse necessarie per svolgere i calcoli richiesti dalle leggi della probabilità” (cfr. M. Motterlini, Economia emotiva, Rizzoli, 2006, p. 57 e passim; M. Benilde, Scanner les cerveaux pour mieux vendre, Le Monde diplomatique, nov. 2007, p. 3).
Oggi vi è un generale revirement contro la riduzione che fanno gli economisti tradizionali, quando giudicano intuizioni, emozioni, attitudini personali e sociali, come “rumori di fondo” non analizzabili e capricciosi, mentre per i c.d. “economisti cognitivi” occorre riconiugare psicologia ed economia nella loro cruciale relazione di complementarietà, per costruire modelli della decisione in grado di mediare tra le astratte funzioni del comportamento razionale, e il reale comportamento umano.
In questo quadro, tornano in primo piano i liberi professionisti.
Essi sono infrastrutture portanti della “sfera pubblica borghese”, che riempiono con i propri saperi e con la presenza capillare sul territorio, gli spazi di protezione dei cittadini, altrimenti isolati alla mercè dello strapotere dei poteri “vestiti” (grandi imprese, sindacati, politica), tutti coalizzati dal comune interesse ad essere i vertici delle polarizzazioni, senza interferenze della società civile.
Grazie alla loro sapiente indipendenza, ai professionisti è ancora riconosciuta la rappresentanza fiduciaria degli interessi dei singoli nei confronti delle grandi strutture, facendone in un certo senso una delle più efficienti forme di sussidiarietà, perchè difendono in modo sufficientemente disinteressato da essere creduti, valori che si oppongono a quelli che rendono compulsivo il consumatore.
Rappresentare in modo professionistico interessi individuali ha un significato ben conosciuto agli uomini del marketing, perché consiste nella freddezza necessaria a smascherare i condizionamenti e i veli sotto i quali vengono nascosti i termini di una transazione, le alternative e gli illusionismi presentati dagli specialisti della comunicazione per orientare in modo inesorabile quanto occulto le scelte verso il prodotto o il prezzo selezionato dal produttore, facendo credere che le decisioni del compratore siano frutto della sua libertà.
Fino ad ora, la reagonomics ci ha messo nell’angolo; ma quella odierna è una crisi di sistema, che richiede una risposta di sistema, ma soprattutto, un cambiamento di sistema. Infatti, nonostante il prof. Giavazzi, che ancora insiste a dire che la distruzione creativa (…sola igiene del mondo?) è il prezzo da pagare per avere gli investimenti che hanno fatto nascere Google (è un paralogismo: chi glielo ha detto?), siamo in presenza della devianza di un sistema che è certamente di libertà, ma solo se resta gemello della morale, solo se opera con prudenza e rispetto altrui. Non quando si lasciano ai loro peggiori istinti mettendogli in mano armi di distruzione di massa cariche, predatori con un ego napoleonico, in delirio di onnipotenza.
Il problema non è mercato contro Stato, ma mercato dentro regole. E soprattutto, regole che permettano di tornare a non usare più la persona, come strumento con cui rischiare.
Robert Shiller, segnalato da Alberto Forte, indica fra le opzioni affinché non si ripetano i disastri dei mutui subprime, l’assistenza del notaio latino, esattamente in questo senso: lo specialista legale indipendente che dà consulenza e suggerimenti a chi non è in grado di dotarsi di costose strutture di consulenza, attraverso l’effetto rituale del leggere ad alta voce e interpretare il contratto.
Il che non è altro che la declinazione del principio “rule of law”, primato della legalità, in contrapposizione alle condizioni di supremazia degli interessi economici, considerato uno dei cardinali per la sicurezza, la democrazia, la promozione dei diritti umani ed in genere per lo sviluppo economico, in tutto il mondo.
La soluzione è molto semplice, e significa regole ragionevoli, in quadro di empatia fra professionista imparziale e cliente. Il Notariato è una regola, funziona, e infatti esiste da sempre, perché è un quadro riconosciuto di rappresentanza fiduciaria rispetto agli interessi dei “giocatori forti”, e nell’interesse generale. Esattamente quello che è mancato, ad un mercato che ha perso la prima regola cui deve attenersi chi vuole essere libero: il rispetto degli interessi e dei bisogni altrui.
Quest’idea è tragicamente smentita, perché la “povertà della ragione” non permetterà mai agli individui in carne ed ossa, di disporre e gestire realmente per intero tutte le informazioni mobilitate dal mercato, e ancor meno di immaginare le sottili e complicate astuzie con cui ad esempio i c.d. prodotti finanziari vengono messi a punto dai maghi del marketing, o di stimarne in maniera affidabile gli effetti.
Gli apprendisti stregoni da una parte hanno giocato a poker coi soldi della gente normale, turlupinata da abbaglianti prodotti finanziari, e hanno dimostrato che l’errore è implicito, ma soprattutto, è prevedibile, e dagli specialisti può addirittura essere indotto.
Ma hanno anche essi stessi dimostrato i risultati già raggiunti in sede teorica dagli economisti non-classici, perdendo il controllo della situazione, con prodotti la cui sofisticazione elaborata dagli algoritmi dei computer, è diventata troppo complessa da maneggiare.
“La nostra mente è infatti incapace di analizzare tutte le informazioni utili per compiere correttamente le nostre scelte, e non dispone neppure delle risorse necessarie per svolgere i calcoli richiesti dalle leggi della probabilità” (cfr. M. Motterlini, Economia emotiva, Rizzoli, 2006, p. 57 e passim; M. Benilde, Scanner les cerveaux pour mieux vendre, Le Monde diplomatique, nov. 2007, p. 3).
Oggi vi è un generale revirement contro la riduzione che fanno gli economisti tradizionali, quando giudicano intuizioni, emozioni, attitudini personali e sociali, come “rumori di fondo” non analizzabili e capricciosi, mentre per i c.d. “economisti cognitivi” occorre riconiugare psicologia ed economia nella loro cruciale relazione di complementarietà, per costruire modelli della decisione in grado di mediare tra le astratte funzioni del comportamento razionale, e il reale comportamento umano.
In questo quadro, tornano in primo piano i liberi professionisti.
Essi sono infrastrutture portanti della “sfera pubblica borghese”, che riempiono con i propri saperi e con la presenza capillare sul territorio, gli spazi di protezione dei cittadini, altrimenti isolati alla mercè dello strapotere dei poteri “vestiti” (grandi imprese, sindacati, politica), tutti coalizzati dal comune interesse ad essere i vertici delle polarizzazioni, senza interferenze della società civile.
Grazie alla loro sapiente indipendenza, ai professionisti è ancora riconosciuta la rappresentanza fiduciaria degli interessi dei singoli nei confronti delle grandi strutture, facendone in un certo senso una delle più efficienti forme di sussidiarietà, perchè difendono in modo sufficientemente disinteressato da essere creduti, valori che si oppongono a quelli che rendono compulsivo il consumatore.
Rappresentare in modo professionistico interessi individuali ha un significato ben conosciuto agli uomini del marketing, perché consiste nella freddezza necessaria a smascherare i condizionamenti e i veli sotto i quali vengono nascosti i termini di una transazione, le alternative e gli illusionismi presentati dagli specialisti della comunicazione per orientare in modo inesorabile quanto occulto le scelte verso il prodotto o il prezzo selezionato dal produttore, facendo credere che le decisioni del compratore siano frutto della sua libertà.
Fino ad ora, la reagonomics ci ha messo nell’angolo; ma quella odierna è una crisi di sistema, che richiede una risposta di sistema, ma soprattutto, un cambiamento di sistema. Infatti, nonostante il prof. Giavazzi, che ancora insiste a dire che la distruzione creativa (…sola igiene del mondo?) è il prezzo da pagare per avere gli investimenti che hanno fatto nascere Google (è un paralogismo: chi glielo ha detto?), siamo in presenza della devianza di un sistema che è certamente di libertà, ma solo se resta gemello della morale, solo se opera con prudenza e rispetto altrui. Non quando si lasciano ai loro peggiori istinti mettendogli in mano armi di distruzione di massa cariche, predatori con un ego napoleonico, in delirio di onnipotenza.
Il problema non è mercato contro Stato, ma mercato dentro regole. E soprattutto, regole che permettano di tornare a non usare più la persona, come strumento con cui rischiare.
Robert Shiller, segnalato da Alberto Forte, indica fra le opzioni affinché non si ripetano i disastri dei mutui subprime, l’assistenza del notaio latino, esattamente in questo senso: lo specialista legale indipendente che dà consulenza e suggerimenti a chi non è in grado di dotarsi di costose strutture di consulenza, attraverso l’effetto rituale del leggere ad alta voce e interpretare il contratto.
Il che non è altro che la declinazione del principio “rule of law”, primato della legalità, in contrapposizione alle condizioni di supremazia degli interessi economici, considerato uno dei cardinali per la sicurezza, la democrazia, la promozione dei diritti umani ed in genere per lo sviluppo economico, in tutto il mondo.
La soluzione è molto semplice, e significa regole ragionevoli, in quadro di empatia fra professionista imparziale e cliente. Il Notariato è una regola, funziona, e infatti esiste da sempre, perché è un quadro riconosciuto di rappresentanza fiduciaria rispetto agli interessi dei “giocatori forti”, e nell’interesse generale. Esattamente quello che è mancato, ad un mercato che ha perso la prima regola cui deve attenersi chi vuole essere libero: il rispetto degli interessi e dei bisogni altrui.
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