martedì 25 novembre 2008

Le risposte ai quesiti in materia di cessione di quote

di Ignazio Padolecchia

In un post di qualche tempo fa, avevo posto alcuni brevi quesiti in materia di cessioni di quote sottoscritte con firma digitale e depositati nel Registro delle Imprese dagli intermediari abilitati ai sensi dell’art. 36, comma 1-bis, del D.L. 112/2008, convertito in L. 133/2008. Nel giro di poche settimane, si sono succedute sull’argomento, nell’ordine: un articolo su “Il Fisco” del Coordinatore dell’Ufficio Studi della Presidenza del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, una circolare dell’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti, una circolare Unioncamere, una circolare dell’Agenzia delle Entrate ed infine una circolare del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti. E’ ragionevole presumere che, in tutto questo fiorire di lavori scientifici di pregevole fattura, i dubbi e le incertezze a suo tempo manifestati abbiano trovato una soluzione soddisfacente; tuttavia, non sono riuscito a resistere alla tentazione di verificare quali risposte siano state date in concreto a quei quesiti. Rivediamoli, dunque, ad uno ad uno.

1) Nel caso in cui la firma digitale apposta al documento informatico inviato al Registro delle Imprese non venga autenticata dal notaio, a chi dovrebbe spettare il compito di verificare l’identità delle parti? Ossia, quale soggetto dovrebbe verificare che il PIN venga digitato proprio dal titolare della smart card e non da un'altra persona che sia venuta in possesso dell'uno e dell'altra?

A tale quesito risponde la prima circolare dell’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti (Circolare n. 5/IR del 18 settembre 2008). Al par. 2, si legge, infatti che “il commercialista (…) è tenuto ad effettuare i seguenti controlli: verifica dell’identità e della capacità di agire delle parti nonché, nel caso di soggetti diversi dalle persone fisiche, dei relativi poteri di rappresentanza (…)”. In nota si precisa che “alla luce di quanto disposto dalla normativa antiriciclaggio, per i dottori commercialisti ed esperti contabili la verifica dell’identità delle parti del contratto costituisce (…) l’adempimento di un preciso obbligo di legge. In particolare, ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, detto adempimento è dovuto, anche nell’ipotesi del mero invio telematico, ogni qual volta il trasferimento delle partecipazioni di s.r.l. implichi la movimentazione di somme di denaro di importo pari o superiore a quindicimila euro, nonché in tutti quei casi in cui l’operazione abbia valore non determinato o non determinabile”.

Occorre tuttavia osservare che, a parte che l’obbligo di adeguata verifica della clientela scatta solo per le operazioni di valore superiore a quindicimila euro, né l’art. 36, comma 1-bis, del D.L. 112/2008, né la normativa antiriciclaggio, prevedono che la firma digitale debba essere apposta alla presenza del commercialista. Anche le “Linee guida per l’adeguata verifica della clientela” predisposte dallo stesso CNDCEC, infatti, prevedono espressamente (parte II, lett. C, par. 2) che gli obblighi di adeguata verifica della clientela possano essere svolti anche nei confronti di clienti “non fisicamente presenti”, come “nel caso in cui un cliente già acquisito conferisca un incarico telefonicamente, oppure di un nuovo cliente che conferisce un incarico a distanza in seguito a segnalazione da parte di un collega o, ancora, ad esempio, il caso in cui il professionista segue la holding italiana di un gruppo multinazionale e una consociata estera gli richiede di eseguire una prestazione in Italia (o viceversa).” Inoltre, la stessa Circolare n. 5/IR poc’anzi citata distingue espressamente il caso in cui il commercialista abbia avuto l’incarico di predisporre l’atto di trasferimento di quote e di assistere le parti al momento della conclusione del contratto, da quello in cui il mandato professionale venga conferito limitatamente al mero deposito telematico dell’atto.

Quindi potrà ben accadere che il commercialista assuma l’incarico di inviare un documento informatico del quale abbia verificato l’identità delle parti che vi sono intervenute, ma che non sia stato sottoscritto alla sua presenza. Si pensi al caso in cui il legale rappresentante della società consegni al commercialista il supporto informatico contenente l’atto di cessione in forma digitale, sottoscritto da persone di cui il commercialista abbia in precedenza acquisito i dati, chiedendogli di effettuare il solo deposito nel Registro delle Imprese: in questo caso, pur essendo stati pienamente assolti dal commercialista gli obblighi di verifica disposti dalla normativa antiriciclaggio, egli non avrà alcuna certezza, né potrà attestare in alcun modo, che le persone che hanno apposto materialmente la firma digitale (ossia le persone che hanno digitato il PIN sulla tastiera del computer) siano proprio le parti dell’atto.

Il documento informatico depositato nel Registro delle Imprese ai sensi dell’art. 36, comma 1°, del D.L. 112/2008 nasce quindi originariamente privo di alcuna attestazione di autenticità da parte dell’intermediario che lo deposita nel Registro delle Imprese; chi lo volesse esaminare successivamente (ad es. nell’ambito di un giudizio) non potrà sapere, se non attingendo a dati extratestuali (ad es. mediante testimoni), se esso è stato sottoscritto davanti all’intermediario oppure no, e se l’intermediario si sia effettivamente accertato dell’identità delle persone che lo hanno sottoscritto. Si tratta pertanto di un documento non avente valore di prova legale, e che pertanto potrà essere liberamente valutato dal giudice in sede di giudizio (art. 21, comma 2°, CAD). Risulta quindi evidente la differenza con la scrittura privata autenticata a norma dell’articolo 2703 Cod. Civ., la quale contiene l’attestazione del pubblico ufficiale che essa è stata sottoscritta alla sua presenza da una persona della cui identità personale egli è certo, e che, ai sensi dell’art. 2702 Cod. Civ., fa piena prova fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta.

2) Come si fa a stabilire con certezza la data in cui è stato perfezionato il documento informatico contenente la cessione di quota?

Recita la Circolare n. 5/IR dell’Istituto di ricerca dei Dottori Commercialisti: “Fondamentale rilievo in questa fase assume infine la c.d. marcatura temporale dell’atto, ovvero la validazione temporale del contratto sottoscritto digitalmente dalle parti contraenti, necessaria al fine di attribuire al documento informatico una data certa.” Nello stesso senso la Circolare Unioncamere del 22 settembre 2008: “La soluzione operativa concordata prevede che l’atto sia sottoscritto con firma digitale dalle parti, l’ultima delle quali che firma dovrà apporre al contratto la marcatura temporale, al fine di attribuire all’atto di cessione una data che consenta agli uffici la verifica del rispetto dei termini che la legge impone, ai fini sia della registrazione fiscale (20 giorni), sia dell’iscrizione nel registro delle imprese (30 giorni)”. Analoga indicazione è contenuta nella Circolare 58/E dell’Agenzia delle Entrate del 17 ottobre 2008: “Ai fini dell’individuazione del termine per la richiesta di registrazione, il documento informatico dovrà essere munito di marcatura temporale al momento dell’apposizione, a cura delle parti, dell’ultima firma digitale.”

Lo strumento tecnico al quale si è voluto ricorrere al fine di attribuire la data certa al documento informatico è dunque quello della marcatura temporale. Giova peraltro ricordare che la marcatura temporale non ha lo scopo di accertare che un documento informatico è stato sottoscritto un certo giorno, quanto piuttosto quello di dimostrare che quel documento è stato sottoscritto prima della revoca o della scadenza del certificato digitale (si veda l’articolo di Sabrina Chibbaro sul Sole 24 Ore di Sabato 1° novembre 2008 dal titolo "Una data certa poco affidabile"). La marcatura temporale, in buona sostanza, funziona come il timbro postale apposto su un documento cartaceo: non attesta che il documento è stato formato proprio in quella data, ma dimostra che, al momento della sua apposizione, il documento già esisteva. Ad es., se il certificato digitale è valido dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre 2010, apponendo la marcatura temporale il 21 novembre 2008, ho la certezza che il documento non può essere stato formato in una data successiva, ma non posso sapere con certezza in quale data è stato perfezionato, potendo tale data variare dal 1° gennaio al 21 novembre 2008.

La data dell’atto, quindi, può non corrispondere alla data della marcatura temporale. Ciò è riconosciuto espressamente anche dalle Circolari sopra ricordate: “Naturalmente”, recita la Circolare Unioncamere, “maggiore certezza circa la data dell’atto sarebbe garantita se la data del contratto che risulta dal documento fosse anche quella risultante dalla marca temporale”; “è auspicabile”, concorda la Circolare dell’Agenzia delle Entrate, “che la data del contratto coincida con quella risultante dalla marca temporale.” E’ appena il caso di ricordare, invece, che la data risultante dall'autentica della sottoscrizione (autografa o digitale che sia), è certa ed opponibile ai terzi (arg. ex art. 2704 Cod. Civ.): l’autentica, cioè, attesta che la data è stata apposta proprio quel giorno.

3) Da chi deve essere conservato il documento informatico al quale è apposta la firma digitale?

“Si ricorda, altresì, che il professionista che presterà la propria assistenza alla conclusione del negozio di cessione di quote e provvederà alla trasmissione dello stesso ai sensi della nuova procedura, dovrà essere dotato di sistema di archiviazione informatica dei documenti che presenti le specifiche richieste dalla normativa in vigore.” Così, una nota operativa interna diramata dalla Camera di Commercio di Brescia. Nessun’altro provvedimento, studio o circolare, per quanto a mia conoscenza, ha ritenuto di affrontare il problema, il che la dice lunga sul grado di interesse dimostrato al riguardo dagli operatori.

Il problema della conservazione degli originali dei documenti informatici, in realtà, è di notevole importanza: le stesse parti, ovvero anche un terzo, potrebbero avere bisogno di ottenere una copia autentica del documento anche a distanza di molto tempo (ad es. in caso di contestazione che sia sfociata in un giudizio civile). Per poter conservare i documenti informatici a lungo termine, occorre invece creare una struttura centralizzata che ne assicuri in maniera affidabile la disponibilità per tutto il tempo necessario e secondo procedure prestabilite ed uniformi, come è accaduto in Francia, dove è stato recentemente creato il Minutier Central, l'Archivio centrale degli atti informatici del notariato francese (in Italia, una struttura del genere è in corso di realizzazione).

In assenza di una struttura centralizzata come quella descritta, la conservazione del documento informatico ed il rilascio di copie autentiche diventa problematico, a meno di non voler ricorrere a procedure pasticciate e confuse, come quella prevista dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate, che per consentire alle parti di dimostrare al Registro delle Imprese l’avvenuta registrazione dell’atto di trasferimento, prevede il rilascio di una copia conforme del documento informatico munita degli estremi di registrazione da parte dell’Ufficio del Registro presso il quale l’atto è stato registrato. Tale copia viene rilasciata apponendo la formula dell’autentica su di un “esemplare” cartaceo del documento informatico fornito dalla stessa parte che chiede la registrazione, con ciò addossando all’Ufficio del Registro il compito di verificare la conformità della copia cartacea rispetto all’originale informatico; cosa che l’intermediario, non essendo pubblico ufficiale a ciò autorizzato (art. 23, comma 2-bis, CAD), non può fare.

4) Chi deve controllare che l'atto di cessione di quote non contenga clausole nulle o annullabili, che ne determinerebbero l'inefficacia (ad es. la mancata previsione di un corrispettivo per la cessione o la mancata autorizzazione di un soggetto incapace)?

Si tratta di uno degli aspetti della nuova procedura sul quale gli studi e le circolari dei commercialisti hanno maggiormente insistito: da un lato è stato affermato che “la norma intende attribuire al commercialista-intermediario una funzione di “filtro” a tutela del pubblico interesse, analoga a quella esercitata dal notaio nell’ambito della procedura tradizionale di deposito dell’atto nella forma di scrittura privata autenticata” (così Enrico Zanetti, Le nuove modalità di trasferimento delle quote di S.r.l. in Il fisco n. 32 del 1° settembre 2008); dall’altro è stato ribadito che il commercialista, anche quando abbia assunto il mero incarico di effettuare il deposito telematico, comunque “è tenuto ad effettuare i seguenti controlli: 1. verifica dell’identità e della capacità di agire delle parti nonché, nel caso di soggetti diversi dalle persone fisiche, dei relativi poteri di rappresentanza; 2. verifica della titolarità, da parte del disponente, dei beni o diritti oggetto del trasferimento, avendo anche riguardo all’eventuale esistenza di regimi di comunione dei beni; 3. controllo della non contrarietà dell’atto al buon costume e all’ordine pubblico.” (così la Circolare 5/IR più volte citata).

Sulla verifica dell’identità delle parti ho già avuto modo di soffermarmi e mi limiterò a ricordare che essa costituisce, nei limiti sopra precisati, un obbligo di legge nascente dalla normativa antiriciclaggio. Sugli altri controlli che il commercialista/intermediario dovrebbe effettuare, osservo invece che tali obblighi non sono previsti da alcuna norma di legge. Con ciò non voglio disconoscere la professionalità del commercialista che, adoperando l’ordinaria diligenza, si farà normalmente carico di verificare che l’atto da lui predisposto (o per il quale abbia ricevuto l’incarico di effettuare il deposito telematico) non contenga clausole invalide o illecite. Voglio invece sottolineare come il compito di effettuare tali verifiche trova la sua fonte in un mandato professionale conferitogli dalle parti (e sempre che non ne sia stato dispensato), o tutt’al più in disposizioni di carattere deontologico, non certo nella legge.

Tale circostanza fa sì che non sia previsto dall’ordinamento alcun meccanismo di controllo da parte di organi dello Stato per verificare che gli atti di trasferimento non contengano clausole nulle o contrarie alla legge, né alcuna sanzione per il caso in cui l’atto di trasferimento contenga vizi che ne determinino l’invalidità. Nessun rappresentante dello Stato si muoverà mai per contestare all’intermediario che l’atto di trasferimento da lui depositato nel Registro delle Imprese contenga una clausola nulla, o che all’atto è intervenuto un soggetto incapace senza autorizzazione del giudice: ricordiamo infatti che, secondo l’orientamento comunemente seguito, il conservatore del registro delle imprese deve limitarsi al mero controllo formale degli atti da iscrivere (in questo senso, ad es. una sentenza del Tribunale di Padova del 16 febbraio 2007: al Conservatore del Registro delle Imprese ed al Giudice del Registro competono solo la formale verifica della corrispondenza tipologica dell’atto da iscrivere rispetto a quello previsto dalla legge, senza alcuna possibilità di accertamento in ordine alla validità negoziale dell’atto).

Per questo motivo, non mi sembra che la funzione di “filtro” dell’intermediario/commercialista possa essere paragonata a quella svolta dal notaio, il quale esercita una funzione di giustizia “preventiva” analoga a quella “successiva” svolta dal giudice, con il quale condivide i caratteri di terzietà, imparzialità e soggezione “soltanto alla legge”, e che è soggetto a tutta una serie di controlli pubblici da parte di organi dello Stato, in particolare da parte degli Archivi Notarili, i quali ispezionano ogni due anni tutti gli atti del notaio ed hanno il potere di avviare procedimenti disciplinari che possono arrivare fino alla destituzione.

5) Nel caso in cui il contratto di cessione venga firmato digitalmente ed inviato al Registro delle Imprese da un commercialista, chi deve provvedere alla registrazione fiscale, e quando?

La Circolare Unioncamere del 22 settembre 2008 prevede espressamente come condizione per poter procedere all’iscrizione dell’atto di trasferimento della quota di S.r.l. la preventiva registrazione dell’atto. La Circolare 58/E dell’Agenzia delle Entrate è interamente dedicata alla definizione delle modalità di esecuzione di tale formalità di registrazione. In particolare, tale Circolare recita testualmente: “Sono obbligate a richiedere la registrazione esclusivamente le parti contraenti, le quali hanno facoltà di avvalersi degli intermediari abilitati o di altri soggetti dotati di procura speciale conferita ex art. 63, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.” In pratica, le parti dovranno provvedere personalmente a registrare l’atto di trasferimento ma potranno delegare il commercialista/intermediario (il quale, peraltro, a differenza del notaio, non è responsabile di imposta e non risponde in alcun modo del versamento delle imposte).

Il termine di registrazione è quello ordinario di venti giorni, che curiosamente viene fatto decorrere dalla data della marcatura temporale anziché da quella dell’atto (un po’ come se il termine di registrazione della scrittura cartacea venisse fatto decorrere dalla data del timbro postale apposto su di essa e non dalla data dell’atto); il che sembra quasi voler legittimare la prassi di predisporre la scrittura senza data per poi munirla di marca temporale nel momento in cui si decide di depositarla nel registro delle imprese (così Sabrina Chibbaro, cit. su Il Sole 24 Ore del 1° novembre 2008).

La procedura escogitata per la registrazione dei documenti da inviare telematicamente si presenta macchinosa ed inefficiente: prevede un gran numero di passaggi “su carta”, ed il confronto tra il file originale e la stampa cartacea è interamente demandato agli uffici, il che richiede dispendio di personale e di tempo. Al riguardo, rinvio all’articolo intitolato “Passaggio di quote, rispunta la carta” sul Sole 24 Ore di Sabato 18 ottobre, a firma Maria Carla De Cesari.

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Adducere inconvenientes non est solvere argumentum: eppure non si può non rilevare come la procedura per il deposito degli atti di trasferimento di quote di S.r.l., così come risultante dall’interpretazione contenuta nelle circolari e negli studi sopra elencati, comporterà numerosi inconvenienti di non poco conto, e ciò soprattutto se si guarda non al momento genetico della formazione dell’atto ed all’ipotesi fisiologica in cui non vi siano contestazioni, ma allo svolgimento dei rapporti successivi tra le parti (ad es. nel caso in cui sia stato convenuto un pagamento dilazionato, o vi sia una condizione sospensiva o risolutiva) oppure al caso in cui sorgano contestazioni tra cedente e cessionario o da parte di terzi (ad es. da parte degli altri soci che contestino il mancato rispetto di una clausola di prelazione o di gradimento, ovvero da parte di altri acquirenti della stessa quota che soccombano per avere effettuato il deposito dell’atto di trasferimento in data successiva).

Proprio in funzione del superamento di questi inconvenienti, oltre che sulla base di solide ragioni di ordine testuale e sistematico, era stata proposta una diversa interpretazione della disposizione del comma 1-bis dell’art. 36 del D.L. 122/2008, secondo la quale il documento informatico sottoscritto con firma digitale e depositato presso il Registro delle Imprese dal commercialista/intermediario dovrebbe comunque essere autenticato da un notaio, ai sensi dell’art. 2470, comma 2°. Cod. Civ. e dell’art. 25 CAD (è la tesi di Enrico Maccarone e Gaetano Petrelli, contenuta nell’articolo “Le cessioni di quote di s.r.l. dopo la conversione del d.l. 112 del 2008”, in Notariato 5/2008, pag. 533, pubblicato anche su questo blog). Tale interpretazione consentirebbe di superare la maggior parte delle difficoltà evidenziate in questo post: l’autentica notarile attesta l’identità delle persone che hanno sottoscritto l’atto, attribuisce all’atto data certa e presuppone il controllo di legittimità preventivo da parte del notaio, il quale dovrebbe provvedere anche alla registrazione dell’atto: al commercialista/intermediario spetterebbe solo il deposito nel registro delle imprese.

Occorre tuttavia riconoscere che questa tesi non ha ricevuto il riscontro che meritava, se non da parte di qualche Giudice del Registro: la prassi operativa delle Camere di Commercio, di fatto, si è orientata nel senso di ammettere il deposito degli atti sottoscritti digitalmente senza autentica da parte del notaio. La norma dell’art. 36, comma 1-bis, del D.L. 112/2008, interpretata in questo senso, tuttavia, pone dei problemi di legittimità costituzionale in relazione all’art. 24 Cost.: ammettendo l’iscrizione in un registro di pubblicità di un documento non avente valore di prova legale, nel senso più volte evidenziato in questo post, verrebbe ad essere leso il diritto alla tutela giurisdizionale delle parti e/o dei terzi controinteressati (si veda in questo senso l’art. del Prof. Paolo Spada su Notariato 5/2008, pag. 538 s., dal titolo “Una postilla in tema di cessione di quote con firma digitale”). Problemi che, invece, sarebbero superati accogliendo l’interpretazione proposta da Maccarone e Petrelli, ovvero ancora introducendo dei correttivi alla nuova disciplina che prevedano l’abrogazione dell’art. 2470, comma 3°, Cod. Civ., nella parte in cui prevede l’efficacia dichiarativa dell’iscrizione nel Registro delle Imprese dei documenti informatici non autenticati.

Ma non è questa la sede più opportuna per trattare di questi argomenti, avendo già troppo abusato della pazienza dei lettori di questo blog nell’esaminare questioni di rara sottigliezza giuridica e di particolare complessità, questioni di cui il nostro frettoloso legislatore non ha apparentemente inteso farsi carico, essendo maggiormente interessato, come purtroppo accade da qualche tempo a questa parte, alle questioni politiche ed economiche piuttosto che non a quelle giuridiche.

venerdì 7 novembre 2008

Caro notaio, ma quanto ci costi?

di Sabino Patruno



E' opinione comune che il notaio sia costoso, forse non del tutto inutile, ma certamente costoso.
E' inutile girarci intorno, sottolineare la funzione di garanzia, la tutela antiprocessuale, il fatto che molto di quello che si paga siano in realtà tasse incassate per conto dello Stato e così via: il notaio rimane "caro" e rimane la sensazione, tra chi vive al di fuori del mondo notarile, che ci potrebbero essere sistemi e soluzioni meno costosi per comprar casa o contrarre un mutuo.
A tutti è capitato di sentire frasi del tipo "solo in Italia ci sono i notai", "in America non c'è bisogno del notaio per comprare casa e fare il mutuo", "solo da noi c'è da firmare tanta carta inutile, non come in America che si fa tutto via internet e senza spese".
Per la verità, le ultime vicende americane hanno fatto un po' raffreddare gli inni al sistema statunitense, ma comunque il pre-giudizio (nel senso di giudizio a priori) sui notai rimane.

Siccome sono un tipo curioso e siccome non mi piace neanche sentirmi una sorta di affamatore, ho provato a dare una risposta alla domanda che qualsiasi "cittadino-utente" si fa: "in definitiva, cosa fa effettivamente un notaio, a parte mettere una firma, che servizio si compra da lui ?" ed ho poi provato a vedere come funzionano le cose negli Stati Uniti, che - crisi o non crisi - rappresentano comunque la grande economia di riferimento per il modo industrializzato. L'indagine l'ho fatta anche alla luce delle ultime proposte di Schiller di cui ha parlato questo blog.

Come noto, l'economista americano ha proposto l'introduzione anche negli Stati Uniti di un "simil-notaio" che possa fare da consulente neutrale per i contratti di mutuo, al fine di porre rimedio alle asimmetrie informative tra mutuatari e banche, che hanno agevolato l'insorgenza della crisi legata ai mutui subprime, dato che molti debitori - così si dice - si sono ritrovati ad aver sottoscritto documenti di cui ignoravano il contenuto.

A scanso di equivoci - ed aprendo una parentesi - devo dire che l'ipotesi di introdurre negli USA una figura simile a quella notarile mi pare velleitaria, dato che il sistema giuridico di common-law, per la sua intrinseca struttura, mi pare impermeabile al notariato latino, anche perchè in quel sistema è sconosciuta la funzione dell'atto pubblico ed il sistema dei pubblici registri ha funzioni e caratteristiche del tutto diverse dai nostri. Tutt'al più, rimarrebbe la funzione di consulenza legale indipendente, che è di certo una funzione tipicamente notarile, ma tutto ciò si scontrerebbe - ancora una volta - con l'intrinseca struttura della common-law che richiede necessariamente consulenti (anche legali) di parte.Tornando però al tema dell'articolo, cerchiamo di capire quale "merce" vende il notaio di tipo latino o di civil law, come va di moda dire.Ebbene, parlando di compravendite e mutui, il notaio essenzialmente vende:

1) una garanzia

egli, cioè, sotto la propria personale responsabilità, garantisce che il bene che sta per essere venduto o che sta per essere dato in garanzia per un mutuo, è realmente del venditore (o del mutuatario) e che è libero da formalità pregiudizievoli, vale a dire ipoteche, pignoramenti, sequestri ecc.Per capire di cosa stiamo parlando, ecco il testo di una relazione legale preliminare, che è la certificazione che le banche richiedono al notaio prima di concedere un mutuo:

"Io sottoscritto..... Notaio in.....avendo eseguito le necessarie visure ipocatastali presso i competenti uffici ed assunte le opportune informazioni presso l'Agenzia del Territorio di......ed esaminati i titoli di provenienza in relazione ai beni sopra indicati e descritti, assumendone la piena responsabilità professionale,
DICHIARO
che in base all'indagine da me, come sopra, effettuata i beni medesimi risultano di proprietà di....
giusto atto di compravendita ....... e che precedenti passaggi di proprietà fino al ventennio sono i seguenti.....
che a tutto il ..... risultano liberi da iscrizioni ipotecarie, trascrizioni ostative o pregiudizievoli, privilegi di qualsiasi natura (compresi quelli di natura fiscale) e da ogni e qualsiasi altro onere reale o peso, da censi, canoni, livelli, servitù passive, vincoli di indivisibilità, diritti di uso civico".

La medesima garanzia viene ovviamente assunta dal notaio anche verso l'acquirente nel caso di compravendita.

Il notaio inoltre garantisce l'indentità personale delle parti (di cui deve essere "certo") e la loro legittimazione ad agire, vale a dire che abbiano i necessari poteri per poter sottoscrivere il contratto. Per esempio, nel caso in cui sia parte una società, che il suo amministratore sia realmente il legittimo amministratore e sia stato debitamente autorizzato o, nel caso di minori, che siano state rilasciate le dovute autorizzazioni da parte del giudice.

2) la preparazione di documenti

Il notaio redige il contratto e quindi acquisisce e predispone tutta la documentazione legale necessaria a far sì che la volontà delle parti si trasformi in un contratto valido e conforme alla legge, conserva poi presso di sè il documento contrattuale finale e rilascia le copie autentiche necessarie.

Si tratta di una attività che è sia legale, la predisposizione di un contratto valido, sia anche puramente materiale, di "gestione della carta": predisposizione delle copie per le parti, per gli uffici, ricerche documentali ecc.

3) l'esecuzione di formalità

Dopo la sottoscrizione del contratto, il notaio deve eseguire tutti gli adempimenti presso i pubblici registri (conservatoria e catasto) ed il pagamento delle tasse connesse all'atto. Per le tasse, tra l'altro, è responsabile personalmente verso lo Stato, nel senso che se il cliente non paga (o paga in ritardo) il notaio deve comunque versare nei trenta giorni dal'atto le imposte all'ufficio del registro. E' intuitivo il vantaggio per lo Stato di avere un esattore corresponsabile dell'imposta al quale tra l'altro non c'è neanche da pagare un aggio.

4) una consulenza legale

Il notaio ha il dovere professionale di fornire consulenza legale e fiscale perchè l'atto sia conforme alla legge, alla volontà delle parti e - nel rispetto della legge - anche il meno costoso possibile dal punto di vista fiscale. Questa consulenza è ovviamente neutrale, cioè non è svolta nell'interesse di una sola delle parti, ma di entrambe.

5) una certificazione

L'atto notarile fa piena prova della identità delle parti che hanno firmato l'atto, della data in cui ciò è avvenuto, delle dichiarazioni rese. Si tratta di prova legale, nel senso che, sino a querela di falso, il giudice la deve accettare in quanto tale, senza possibilità di contestazione.

6) uno strumento processuale

Un effetto collaterale dell'essere una prova legale, fa sì che l'atto notarile sia un titolo esecutivo. Ecco un esempio per capire di cosa stiamo parlando: nel caso di mutui, il notaio rilascia alla banca creditrice una copia in forma esecutiva dell'atto di mutuo, una copia cioè che contiene questo ordine:

«Comandiamo a tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e a chiunque spetti, di mettere a esecuzione il presente titolo, al pubblico ministero di darvi assistenza, e a tutti gli ufficiali della forza pubblica di concorrervi, quando ne siano legalmente richiesti».

In forza di questa copia, la banca creditrice, in caso di insolvenza del debitore, non ha bisogno di fare causa, ma può agire direttamente per l'esecuzione del credito, ossia, detto in altri termini, chiede di mandare all'asta il bene ipotecato senza bisogno di un provvedimento del giudice che accerti l'insolvenza o l'esistenza del credito.

Questi, dunque, sono - grosso modo - i principali servizi forniti da un notaio per una compravedita immobiliare o per un finanziamento ipotecario.

Sono servizi che vengono forniti efficientemente?

Ritengo di sì. A parte le considerazioni statistiche sul contenzioso in materia, che è praticamente vicino allo zero, ed a parte l'inesistenza, in Italia e nei paesi di notariato latino, dei fenomeni di "title fraud" e "mortgage fraud" di cui parleremo più avanti, c'è una evidenza empirica dettata dalla esperienza comune di chiunque abbia comprato casa.

Poichè nell'acquisto di un immobile si investe una quota sostanziale del proprio patrimonio, è naturale che si senta l'esigenza di venire tutelati nel modo migliore. Orbene, se il notaio fosse solo un ottuso e costoso certificatore che la legge impone di utilizzare, ogni acquirente si farebbe assistere evidentemente da consulenti di parte capaci di proteggerne gli interessi e di supervisionare l'operato del "certificatore" al quale è "costretto" a rivolgersi.Così però non è. Il notaio gestisce le problematiche connesse alle operazioni immobiliari senza l'assistenza o la supervisione di nessun consulente di parte, se non, in rare occasioni, quando sono sorti dei contenziosi nella fase che precede la conclusione del contratto.Se ciò avviene è perchè fornisce efficientemente un servizio capace di far ottenere il risultato voluto, ossia comprar casa in tutta sicurezza.

Vabbè, direbbero i critici, ammettiamo pure che sappia fare il suo lavoro, ma quanto costa il tutto?

Intanto, parlando di compravendite, il costo è zero se consideriamo il venditore.

Per quanto riguarda l'acquirente, le tariffe sono collegate al valore della pratica.

Parliamo di cose concrete e proviamo a fare due ipotesi di atti dove il venditore non sia un costruttore:

a) compravendita per €. 150.000,00 con mutuo per €. 100.000,00

b) compravendita per €. 400.000,00 con mutuo per €. 350.000,00

Dalle mie parti (Macerata) il costo per tali atti, secondo le tariffe mediamente applicate nel distretto, sarebbe:

nell'ipotesi a): €. 960,00 per la compravendita e €. 900,00 per il mutuo

nell'ipotesi b): €. 1.300,00 per la compravendita e €. 1.300,00 per il mutuo

In termini percentuali, il costo notarile rappresenta (arrotondato per eccesso) lo 0,64% della compravendita e lo 0,90% del mutuo per l'operazione di minor valore e lo 0,35% della compravendita e lo 0,40% del mutuo per l'operazione di maggior valore.

Ho specificato che si tratta delle tariffe medie applicate dalla mie parti, in altre regioni italiane probabilmente ci saranno cifre più alte, in altre cifre più basse, ma comunque l'oscillazione, in più o in meno, è nell'ordine dei 3/400 euro.

Anticipo subito la prima eccezione, che viene comunemente rivolta: i notai sono un monopolio, abolendo il monopolio i costi si ridurrebbero.

L'eccezione è parzialmente fondata.

E' vero che il servizio notarile è svolto in regime di monopolio, nel senso che solo il notaio può stipulare determinati contratti, ma - all'interno della categoria - il servizio è svolto in regime di concorrenza tra i vari notai, con un sistema di tariffe che, dopo la riforma Bersani, non sono più inderogabili.

Un'evidenza indiretta della concorrenza è rappresentata dal fatto che, all'interno del medesimo distretto notarile, vi sono differenze di fatturato tra i vari notai in rapporto di 1 a 10, mentre se la gestione del servizio fosse monopolistica, i fatturati dovrebbero essere omogenei.

Una rendita monopolistica può tuttavia essere presente, andiamo quindi a verificare come funzionano le cose lì dove questa rendita è inesistente, vale a dire gli Stati Uniti.

Come noto, in America non c'è notaio e non c'è bisogno di intermediari qualificati per stipulare un atto di vendita.

Questo in teoria. Nella pratica, le esigenze di garanzia, consulenza legale e fiscale, predisposizione di documenti e gestione di formalità che da noi sono soddisfatte dal notaio, non vengono certo meno, ma vengono ripartite tra una serie di figure professionali che occupano il "vuoto notarile", fornendo servizi similari, perchè, come ovvio, si tratta di esigenze che, indipendentemente dal luogo dove si compra casa, accompagnano qualsiasi transazione che porta un cittadino ad investire una fetta consistente del proprio patrimonio o ad indebitarsi per un lungo periodo.

Negli USA, dunque, è il mercato che si preoccupa di fornire i servizi che in Italia chiameremmo notarili e che, sebbene non obbligatori, sono di fatto presenti nella quasi totalità delle contrattazioni.

Come noto, gli Stati Uniti sono un grande paese con notevoli differenze economiche, sociali e culturali al suo interno e questo si ripercuote anche sui costi e sulle modalità di transazione, che variano molto da zona a zona: l'analisi dei costi, quindi, non può prescindere da questo dato.

Cominciamo dunque a fare conoscenza dei closing costs americani e, in primo luogo parliamo delle closing agencies.

La "closing agency", chiamata anche "closing company" o "closing and title company" è, come dice la parola stessa, una agenzia che si occupa di tutte le questioni connesse al closing, ossa alla conclusione del contratto.

Questa "agenzia", che è spesso collegata all'agente immobiliare o al broker finanziario che vende il mutuo, gestisce tutto il processo pre e post contrattuale, vale a dire la preparazione dei documenti, la registrazione del contratto presso i pubblici registri locali, il pagamento delle tasse ecc.

Detta alla grossa, la closing company fa quello che il notaio italiano fa ai punti 2 e 3 della descrizione dei suoi compiti, sopra riportata.

Altro servizio essenziale venduto dalla closing company è la title insurance.

Si tratta di una assicurazione che garantisce l'acquirente in ordine alla titolarità in capo al venditore del bene venduto, all'inesistenza di ipoteche o altre formalità pregiudizievoli e così via.

Esistono due tipi di title insurance: la owner's insurance che garantisce l'acquirente e la lender's insurance, che è invece rilasciata a garanzia della banca che concede il mutuo.

Con tutta evidenza, la title insurance ha la medesima funzione assolta dal notaio in relazione al punto 1 della descrizione sopra richiamata.

Per la verità, le due funzioni non sono propriamente identiche.

In base al costante orientamento giurisprudenziale della Cassazione, il notaio garantisce l'acquirente sulla base del valore di mercato dell'immobile, indipendentemente dal prezzo pagato, quindi se io oggi compro casa a €. 100.000,00 e tra cinque anni - quando il valore del bene è diventato €. 150.000,00 - si scopre l'esistenza di un pignoramento o una nullità del contratto, il notaio risarcirà il danno per €. 150.000,00.

La title insurance, invece, assicura solo il prezzo di acquisto o, nel caso di mutuo, la somma mutuata.

L'attività di consulenza legale (punto 4 dei notai) è svolta negli Stati Uniti dagli avvocati (attorney o real estate attorney) i quali sono spesso collegati con le closing agencies o, in alcuni stati (come New York o Illinois) si sostituiscono alle closing agencies e curano direttamente l'intera procedura del closing, tranne il rilascio delle title insurance, come ovvio.

Per quanto riguarda l'attività di certificazione (punto 5 dei notai), va detto che, sebbene non sia obbligatoria, nella maggior parte delle transazioni le parti (soprattutto le banche), richiedono che le firme dei contraenti siano autenticate da un public notary. Il public notary statunitense non ha nulla a che vedere con il notaio di tipo latino: è un semplice certificatore di firma ed il suo unico compito è di attestare che chi ha firmato è il signor Tizio e non il signor Caio, non assume nessuna responsabilità in relazione all'atto per cui autentica le firme, così come non è tenuto a controllare la legittimità dei firmatari o i loro poteri di firma (nel caso di società, minori ecc.).

Quanto costa tutto ciò ? La risposta giusta è "dipende". Dipende innanzi tutto dallo stato dove si sta stipulando l'atto, se alla compravendita è collegato o meno un mutuo, se la title insurance acquistata è solo la lender's o anche la owner's e così via.

In generale, il costo principale è rappresentato dalla title insurance, che può variare tra lo 0,30% e lo 0,60% del prezzo di vendita o dell'importo del mutuo.

E' degno di nota che in molti stati, le tariffe per queste assicurazioni sono fissate per legge e non sono negoziabili.Come si legge da questo sito di una title company della Florida: "Title Insurance rules in Florida are highly regulated. Therefore, your selection of a title company will usually be based on the company's reputation for service as opposed to price". Per i non anglofoni: "le regole per la title insurance in Florida sono altamente regolate. Pertanto la vostra selezione di una title company sarà usualmente basata sulla reputazione della società per il servizio, piuttosto che per il prezzo."E' ancora degno di nota che il mercato della title insurance è un mercato oligopolistico, perchè, sebbene le polizze vengano vendute sul territorio da una miriade di soggetti (le title companies), a rilasciare il 90% delle polizze sono non più di cinque compagnie di assicurazione.Per avere una conferma dei costi ecco quelli del Texas, mentre uno degli stati più economici sembra essere il Missouri.

In Florida, dal medesimo sito di cui sopra, apprendiamo che

The Florida Promulgated Rate for an owner's title policy is as follows:
$5.75 per $1,000 of value up to $100,000(or $575 for $100,000 of property value).
$5.00 per $1,000 of value up to $1,000,000(or $500 for every 100,000 of property value)
**Above $1 million, please call us.
La lender's insurance è indispensabile quando si richiede un mutuo.
Non è la legge a richiederla, ma il mercato, dato che nessuna banca presta soldi se non c'è l'assicurazione: no insurance-no loan.
La owner's insurance non è invece obbligatoria e quindi si tratta di un costo opzionale, che viene però comunemente assunto per garantire l'investimento ed in alcuni stati (per esempio in
California) viene pagata dal venditore.
I costi per il closing non si esauriscono però solo nella title insurance, dato che si paga un fee (commissione) anche per altre prestazioni.
Ecco un elenco dei più comuni closing costs:
- settlement/closing. E' la commissione pagata per la predisposizione di quella che in Italia chiameremmo la stipula, ossia la predisposizione dei documenti legali, l'incontro in campo neutro presso la sede della closing company per la sottoscrizione dell'atto e così via. Normalmente questo costo si aggira intorno ai 200/500 dollari e in molti casi, oltre che dall'acquirente è pagato anche dal venditore.
- document preparation cioè la preparazione dei documenti. In alcuni casi è un costo incluso tra i settlement fees, in altri no. Nei preventivi che ho chiesto via internet mi è stato applicato nel 60% dei casi, con un costo tra i 200 e i 400 dollari.
- title examination/title search, vale a dire l'indagine circa la validità del titolo, quelle che in Italia chiameremmo le visure. Il costo oscilla tra i 150/400 dollari.
- wire transfer/shipping/delivery è il costo per la trasmissione dei documenti ai vari uffici, oscilla tra i 30 e i 100 dollari.
- lender's attoney è il costo per la consulenza legale del lender, cioè - normalmente - il broker che "vende" il mutuo. In alcuni stati questa consulenza è praticamente obbligatoria. Come si legge su questo
sito, "this fee is paid to the lender's attorney for preparing and reviewing all of the closing documents on behalf of the lender".
Detto in italiano, "questa prestazione è pagata all'avvocato del lender per preparare e rivedere tutti i documenti per la stipula nell'interesse del lender". Il costo - a carico del mutuatario - è tra i 150/400 dollari.
- buyer'attorney cioè il costo per la consulenza legale in favore dell'acquirente. Non è obbligatoria dappertutto, ma è richiesta in alcuni stati e va dai 400 dollari in su.
- public notary le tariffe del public notary, nella maggior parte degli stati, sono fissate per legge e sono collegate al numero di firme da autenticare, quindi quanto più è lungo il documento tanto più si paga il public notary. In generale il costo andrà dai 25 ai 150 dollari.
- escrow si tratta di una commissione pagata in relazione al fatto che alcuni documenti o somme di danaro per un certo periodo di tempo rimangono depositate in garanzia presso l'escrow agent (spesso la stessa closing company), sino a quando determinate attività non vengono eseguite. Un esempio sono le somme lasciate in escrow per il pagamento delle tasse sull'immobile per il primo anno del mutuo. Il costo di questo servizio varia tra i 50 e i 150 dollari.
I costi e le tariffe sopra indicati sono facili da reperire andando un po' in giro su internet e per avere poi una buona valutazione complessiva - stato per stato - dei costi di closing per un mutuo di $. 200.000,00 si può vedere
qui.

Chi ha poi voglia di perdere ancora un po' più di tempo on line, può farsi fare anche dei preventivi. Io ne ho richiesti alcuni, secondo una scelta assolutamente causale di alcuni siti di closing companies, ipotizzandomi acquirente di una casa negli states, da finanziare con un mutuo. I preventivi che ho ricevuto sono coerenti, anche se leggermente più alti, rispetto ai costi ricavabili in rete: da una closing company in Florida, per una compravendita di $ 200.00,00 con mutuo di $ 150.000,00 ho così saputo che avrei pagato $. 1.975 oltre però il costo per l'attoney (non quantificato), una gentile title agent della Virginia per una compravendita di $. 300.000,00 con mutuo di $. 250.000,00 mi ha richiesto $. 2.507,50 oltre a $ 172,00 di recording fee, mentre da un attorney dell'Illinois ho saputo che per comprare una casa a Chicago di $ 200.000,00 avrei pagato $. 650,00 di sola assistenza legale, perchè la title insurance era a carico del venditore, mentre se avessi voluto anche il mutuo avrei pagato $ 800 di assistenza legale, più la lender's insurance (non quantificata) ed i fee per title examination, escrow e lender's attorney (non quantificati).

Per la verità, sempre in rete, ma leggendo i forum dedicati al real estate, si scopre che spesso al momento del closing vengono fuori alcune commissioni non preventivate, chiamate non a caso junk fees - commissioni spazzatura - che incrementano di 2/300 dollari i costi. Non considerando le junk fees, perchè non ho trovato i riscontri oggettivi, il costo medio di un atto di compravendita, in base ai preventivi ricevuti e dalle valutazioni ricavabili dalla rete, oscilla intorno allo 0,45% - 0,85% del prezzo di acquisto. L'oscillazione, come detto, deriva dalle differenze, anche notevoli, che si riscontrano nei vari stati. Nel caso in cui oltre all'atto di acquisto si stipuli anche un mutuo, il costo viene incrementato dalla lender's insurance e da un modesto incremento dei costi di closing sopra riportati. Naturalmente l'acquirente può rinunciare alla garanzia della owner's insurance e pagare la sola lender's, che è obbligatoriamente richiesta dalla banca: in questo caso, a fronte di una minore garanzia, avrà ovviamente costi ridotti.

Proviamo a tirare le somme.

Il costo di un servizio legale è dato dai suoi costi di produzione (cioè quale e quanta attività si svolge), dalla responsabilità che si assume verso il cliente, dalle spese generali e dal fattore profitto. Avendo questi dati in mente, una comparazione tra USA ed Italia è fuorviante, perchè diverse sono le responsabilità, diverse - o quanto meno non identiche - le attività svolte, diverso il contesto economico generale, quindi il rischio è quello di paragonare le mele con le pere.

Pur con queste premesse, mi sento di poter affermare che il sistema americano ha costi mediamente inferiori a quello italiano per le compravendite di minor valore (nell'ordine di circa il 20/25%), mentre ha costi superiori per le compravendite di maggior valore (quelle oltre $. 400.000).

Questi costi diventano però comparabili a quelli italiani (e non più superiori), se alla compravendita è abbinato un mutuo, purchè però si rinunci alla owner's insurance.

Insomma, il sistema di civil law prevede una sorta di cintura di sicurezza obbligatoria (il notaio), perchè ha di mira non solo l'interesse del singolo, ma anche l'interesse, più generale, di un sistema di garanzie affidate ai pubblici registri.

Il sistema di common law prevede una soglia minima di garanzie standard, lasciando che sia il singolo - assieme al "mercato" - a decidere sino a che punto alzare la soglia della tutela con i costi connessi,il tutto nello spirito tipicamente anglosassone della autoresponsabilità.

Tutto ciò, negli USA, genera risparmi per gli atti di valore inferiore ed ha costi tutto sommato pari se non superiori a quelli italiani per gli atti di maggior valore.

Quel che è certo è che, contrariamente ad una opinione diffusa, anche in America ci sono costi di transazione per l'acquisto di immobili, esattamente come in Italia e poichè "nessun pasto è gratis", la minor tutela preventiva apre le porte a fenomeni da noi in Italia sconosciuti, come le frodi ipotecarie (mortgage frauds) o le frodi legate al titolo di proprietà (title frauds), per le quali invito ad una lettura di alcuni casi (qui e qui) esemplari dal sito dell' F.B.I.