giovedì 16 dicembre 2010

Mobilità sociale, confronti internazionali e leggende metropolitane

di Alberto Forte

Appaiono con inquietante ritmicità articoli giornalistici sulla “mobilità sociale” nel nostro Paese, inevitabilmente farciti dalla raccomandazione di eliminare la “casta notarile”.

Troppo spesso, si tratta di luoghi comuni mal ruminati e senza alcuna base informativa. In effetti, una seria informazione avrebbe bisogno di dati e reperire i dati costa fatica; dunque, la nostra stampa preferisce evitare questo sforzo.

Chi volesse farsi una idea delle informazioni disponibili, troverebbe interessante lo studio di Patrizio Piraino, economista dell’Università di Siena, Comparable Estimates of Intergenerational Income Mobility in Italy (scaricabile da http://www.bepress.com/bejeap/vol7/iss2/art1/?sending=10030).

Ecco alcune conclusioni.

Non esistono dati italiani che abbiano sinora consentito confronti tra redditi dei genitori e dei loro figli.

Recenti innovazioni nella tecnica econometrica permettono di usare dati dell’indagine della Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie italiane.

I confronti internazionali sono molto difficili, perché dipendono dai metodi di misurazione, dalle età considerate, da altri criteri di selezione Sulla base dei dati disponibili, la “rigidità sociale” italiana assomiglia molto a quella degli Stati Uniti e del Regno Unito; oltre il 50% del vantaggio dei genitori “passa” ai figli. Molto più “mobile” è il mondo scandinavo (Svezia) ed in Canada.

Considerando le distorsioni dovute ai (pochi) dati disponibili, nell'insieme dei Paesi più avanzati, l'Italia appare nel gruppo dei Paesi ad "alta resistenza": la posizione economica delle famiglie ricche resta stabile con il passare delle generazioni. Allo stato delle indagini statistiche, questa affermazione è da considerarsi come una ipotesi da valutare, e non come una certezza; si tratta di una opinione conforme a quelle di sociologi ed economisti che definiscono l'Italia una società "rigida".

Molte possono essere le spiegazioni per la scarsa mobilità: il fenomeno dell'eredità contribuisce alla trasmissione del benessere alle generazioni successive, mediante una istruzione migliore per i figli dei ricchi. Questo effetto non appare determinante, a conferma dell'ipotesi secondo la quale, pur con livelli di formazione scolastica formalmente equivalenti, i risultati economici dipendono dal patrimonio delle famiglie di origine; non si verificherebbe un effetto di livellamento del sistema scolastico, pur se largamente affidato allo Stato.

Possono agire in questo senso anche le forti barriere all'ingresso presenti per molte occupazioni nel mercato del lavoro italiano. L'effetto sulla mobilità sociale dell'istruzione, infatti, dipende da una serie di vantaggi immateriali, che genitori ricchi possono trasmettere ai propri figli: motivazioni e mentalità, oltre che forti relazioni sociali.

Nel più recente articolo The Intergenerational Transmission of Employers appena apparso sul Journal of Labor Economics, January 2011, Vol. 29, No. 1: 37-68, Miles Corak e Patrizio Piraino studiano il caso del Canada, Paese considerate molto “mobile” nei confronti internazionali.

Ecco i risultati del loro lavoro.

8. Conclusion

We document the intergenerational transmission of employers between fathers and sons with a large Canadian based administrative data set … We find that by the age of 33

approximately 4 in 10 men have worked at some point with an employer who had also at some point employed their father. Much of this intergenerational transmission of employers occurs during the teen years, but as a lower bound about 6% (and as an upper bound 9%) of 33 year olds have as their main employer the same employer their fathers worked for some 15 to 20 years earlier. These percentages are higher than would be expected by a random allocation of sons to firms in specific industrial, regional, and sub regional labour markets, and reflect particular characteristics of their family background.

The intergenerational transmission of employers is much more likely at the top of the earnings distribution. Close to 70% of sons of top percentile fathers had at some point the same employer as their fathers, and for 15% their main employer at the age of 33 was the same employer their father worked for during their teen years.

Our results from a series of linear probability models are consistent with a set of hypotheses we draw from literature. First, the generational transmission of employers is higher when fathers have self-employment income, and higher for fathers with higher earnings and incomes. In particular, the probability that sons will be employed by the same employer as their father is distinctly non-linear, being much higher for the highest earning fathers. Second, self-employment also significantly tightens the relationship between parental earnings and intergenerational transmission of employers.

The literature on the degree of generational earnings mobility is oftentimes linked to the growing research on early childhood development, the formation of values and preferences, and their impact on readiness to learn and pro-social behaviour that are all important antecedents to educational attainment and ultimately labour market success.

Our research suggests that it is also important to understand the nature of labour markets and the way in which young adults interface with them during the transition to adulthood, and ultimately in final career choices. Parents may also be in a position to influence this process by offering contacts and knowledge of employment with particular employers, and in the extreme exercising direct control. This may be an important complement to the non-monetary investments early in life. The capacity of parents to play a role in a child’s transition to the labour market varies according to their place in the earnings distribution, and this may also be a part of the explanation for the degree to which children may have similar earnings as their parents, a possibility that future research with data from other countries should recognize.

Una seria ricerca sulle categorie professionali italiane è ancora da promuovere. Gli ingegneri hanno cominciato ad esaminare il loro caso, affidando al Professor Tullio Jappelli uno studio che conclude con percentuali non dissimili da quelle dei notai: una sintesi in

http://www.professionisti24.ilsole24ore.com/art/Professionisti24/Metabox/Lavoro/INARCASSA_quaderno_7.pdf

Chissà se interessa approfondire anche per i notai ...

P.S.: non ho figli che si propongano di fare i notai :-)