di Ignazio Padolecchia
In un post di qualche tempo fa, avevo posto alcuni brevi quesiti in materia di cessioni di quote sottoscritte con firma digitale e depositati nel Registro delle Imprese dagli intermediari abilitati ai sensi dell’art. 36, comma 1-bis, del D.L. 112/2008, convertito in L. 133/2008. Nel giro di poche settimane, si sono succedute sull’argomento, nell’ordine: un articolo su “Il Fisco” del Coordinatore dell’Ufficio Studi della Presidenza del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, una circolare dell’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti, una circolare Unioncamere, una circolare dell’Agenzia delle Entrate ed infine una circolare del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti. E’ ragionevole presumere che, in tutto questo fiorire di lavori scientifici di pregevole fattura, i dubbi e le incertezze a suo tempo manifestati abbiano trovato una soluzione soddisfacente; tuttavia, non sono riuscito a resistere alla tentazione di verificare quali risposte siano state date in concreto a quei quesiti. Rivediamoli, dunque, ad uno ad uno.
1) Nel caso in cui la firma digitale apposta al documento informatico inviato al Registro delle Imprese non venga autenticata dal notaio, a chi dovrebbe spettare il compito di verificare l’identità delle parti? Ossia, quale soggetto dovrebbe verificare che il PIN venga digitato proprio dal titolare della smart card e non da un'altra persona che sia venuta in possesso dell'uno e dell'altra?
A tale quesito risponde la prima circolare dell’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti (Circolare n. 5/IR del 18 settembre 2008). Al par. 2, si legge, infatti che “il commercialista (…) è tenuto ad effettuare i seguenti controlli: verifica dell’identità e della capacità di agire delle parti nonché, nel caso di soggetti diversi dalle persone fisiche, dei relativi poteri di rappresentanza (…)”. In nota si precisa che “alla luce di quanto disposto dalla normativa antiriciclaggio, per i dottori commercialisti ed esperti contabili la verifica dell’identità delle parti del contratto costituisce (…) l’adempimento di un preciso obbligo di legge. In particolare, ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, detto adempimento è dovuto, anche nell’ipotesi del mero invio telematico, ogni qual volta il trasferimento delle partecipazioni di s.r.l. implichi la movimentazione di somme di denaro di importo pari o superiore a quindicimila euro, nonché in tutti quei casi in cui l’operazione abbia valore non determinato o non determinabile”.
Occorre tuttavia osservare che, a parte che l’obbligo di adeguata verifica della clientela scatta solo per le operazioni di valore superiore a quindicimila euro, né l’art. 36, comma 1-bis, del D.L. 112/2008, né la normativa antiriciclaggio, prevedono che la firma digitale debba essere apposta alla presenza del commercialista. Anche le “Linee guida per l’adeguata verifica della clientela” predisposte dallo stesso CNDCEC, infatti, prevedono espressamente (parte II, lett. C, par. 2) che gli obblighi di adeguata verifica della clientela possano essere svolti anche nei confronti di clienti “non fisicamente presenti”, come “nel caso in cui un cliente già acquisito conferisca un incarico telefonicamente, oppure di un nuovo cliente che conferisce un incarico a distanza in seguito a segnalazione da parte di un collega o, ancora, ad esempio, il caso in cui il professionista segue la holding italiana di un gruppo multinazionale e una consociata estera gli richiede di eseguire una prestazione in Italia (o viceversa).” Inoltre, la stessa Circolare n. 5/IR poc’anzi citata distingue espressamente il caso in cui il commercialista abbia avuto l’incarico di predisporre l’atto di trasferimento di quote e di assistere le parti al momento della conclusione del contratto, da quello in cui il mandato professionale venga conferito limitatamente al mero deposito telematico dell’atto.
Quindi potrà ben accadere che il commercialista assuma l’incarico di inviare un documento informatico del quale abbia verificato l’identità delle parti che vi sono intervenute, ma che non sia stato sottoscritto alla sua presenza. Si pensi al caso in cui il legale rappresentante della società consegni al commercialista il supporto informatico contenente l’atto di cessione in forma digitale, sottoscritto da persone di cui il commercialista abbia in precedenza acquisito i dati, chiedendogli di effettuare il solo deposito nel Registro delle Imprese: in questo caso, pur essendo stati pienamente assolti dal commercialista gli obblighi di verifica disposti dalla normativa antiriciclaggio, egli non avrà alcuna certezza, né potrà attestare in alcun modo, che le persone che hanno apposto materialmente la firma digitale (ossia le persone che hanno digitato il PIN sulla tastiera del computer) siano proprio le parti dell’atto.
Il documento informatico depositato nel Registro delle Imprese ai sensi dell’art. 36, comma 1°, del D.L. 112/2008 nasce quindi originariamente privo di alcuna attestazione di autenticità da parte dell’intermediario che lo deposita nel Registro delle Imprese; chi lo volesse esaminare successivamente (ad es. nell’ambito di un giudizio) non potrà sapere, se non attingendo a dati extratestuali (ad es. mediante testimoni), se esso è stato sottoscritto davanti all’intermediario oppure no, e se l’intermediario si sia effettivamente accertato dell’identità delle persone che lo hanno sottoscritto. Si tratta pertanto di un documento non avente valore di prova legale, e che pertanto potrà essere liberamente valutato dal giudice in sede di giudizio (art. 21, comma 2°, CAD). Risulta quindi evidente la differenza con la scrittura privata autenticata a norma dell’articolo 2703 Cod. Civ., la quale contiene l’attestazione del pubblico ufficiale che essa è stata sottoscritta alla sua presenza da una persona della cui identità personale egli è certo, e che, ai sensi dell’art. 2702 Cod. Civ., fa piena prova fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta.
2) Come si fa a stabilire con certezza la data in cui è stato perfezionato il documento informatico contenente la cessione di quota?
Recita la Circolare n. 5/IR dell’Istituto di ricerca dei Dottori Commercialisti: “Fondamentale rilievo in questa fase assume infine la c.d. marcatura temporale dell’atto, ovvero la validazione temporale del contratto sottoscritto digitalmente dalle parti contraenti, necessaria al fine di attribuire al documento informatico una data certa.” Nello stesso senso la Circolare Unioncamere del 22 settembre 2008: “La soluzione operativa concordata prevede che l’atto sia sottoscritto con firma digitale dalle parti, l’ultima delle quali che firma dovrà apporre al contratto la marcatura temporale, al fine di attribuire all’atto di cessione una data che consenta agli uffici la verifica del rispetto dei termini che la legge impone, ai fini sia della registrazione fiscale (20 giorni), sia dell’iscrizione nel registro delle imprese (30 giorni)”. Analoga indicazione è contenuta nella Circolare 58/E dell’Agenzia delle Entrate del 17 ottobre 2008: “Ai fini dell’individuazione del termine per la richiesta di registrazione, il documento informatico dovrà essere munito di marcatura temporale al momento dell’apposizione, a cura delle parti, dell’ultima firma digitale.”
Lo strumento tecnico al quale si è voluto ricorrere al fine di attribuire la data certa al documento informatico è dunque quello della marcatura temporale. Giova peraltro ricordare che la marcatura temporale non ha lo scopo di accertare che un documento informatico è stato sottoscritto un certo giorno, quanto piuttosto quello di dimostrare che quel documento è stato sottoscritto prima della revoca o della scadenza del certificato digitale (si veda l’articolo di Sabrina Chibbaro sul Sole 24 Ore di Sabato 1° novembre 2008 dal titolo "Una data certa poco affidabile"). La marcatura temporale, in buona sostanza, funziona come il timbro postale apposto su un documento cartaceo: non attesta che il documento è stato formato proprio in quella data, ma dimostra che, al momento della sua apposizione, il documento già esisteva. Ad es., se il certificato digitale è valido dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre 2010, apponendo la marcatura temporale il 21 novembre 2008, ho la certezza che il documento non può essere stato formato in una data successiva, ma non posso sapere con certezza in quale data è stato perfezionato, potendo tale data variare dal 1° gennaio al 21 novembre 2008.
La data dell’atto, quindi, può non corrispondere alla data della marcatura temporale. Ciò è riconosciuto espressamente anche dalle Circolari sopra ricordate: “Naturalmente”, recita la Circolare Unioncamere, “maggiore certezza circa la data dell’atto sarebbe garantita se la data del contratto che risulta dal documento fosse anche quella risultante dalla marca temporale”; “è auspicabile”, concorda la Circolare dell’Agenzia delle Entrate, “che la data del contratto coincida con quella risultante dalla marca temporale.” E’ appena il caso di ricordare, invece, che la data risultante dall'autentica della sottoscrizione (autografa o digitale che sia), è certa ed opponibile ai terzi (arg. ex art. 2704 Cod. Civ.): l’autentica, cioè, attesta che la data è stata apposta proprio quel giorno.
3) Da chi deve essere conservato il documento informatico al quale è apposta la firma digitale?
“Si ricorda, altresì, che il professionista che presterà la propria assistenza alla conclusione del negozio di cessione di quote e provvederà alla trasmissione dello stesso ai sensi della nuova procedura, dovrà essere dotato di sistema di archiviazione informatica dei documenti che presenti le specifiche richieste dalla normativa in vigore.” Così, una nota operativa interna diramata dalla Camera di Commercio di Brescia. Nessun’altro provvedimento, studio o circolare, per quanto a mia conoscenza, ha ritenuto di affrontare il problema, il che la dice lunga sul grado di interesse dimostrato al riguardo dagli operatori.
Il problema della conservazione degli originali dei documenti informatici, in realtà, è di notevole importanza: le stesse parti, ovvero anche un terzo, potrebbero avere bisogno di ottenere una copia autentica del documento anche a distanza di molto tempo (ad es. in caso di contestazione che sia sfociata in un giudizio civile). Per poter conservare i documenti informatici a lungo termine, occorre invece creare una struttura centralizzata che ne assicuri in maniera affidabile la disponibilità per tutto il tempo necessario e secondo procedure prestabilite ed uniformi, come è accaduto in Francia, dove è stato recentemente creato il Minutier Central, l'Archivio centrale degli atti informatici del notariato francese (in Italia, una struttura del genere è in corso di realizzazione).
In assenza di una struttura centralizzata come quella descritta, la conservazione del documento informatico ed il rilascio di copie autentiche diventa problematico, a meno di non voler ricorrere a procedure pasticciate e confuse, come quella prevista dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate, che per consentire alle parti di dimostrare al Registro delle Imprese l’avvenuta registrazione dell’atto di trasferimento, prevede il rilascio di una copia conforme del documento informatico munita degli estremi di registrazione da parte dell’Ufficio del Registro presso il quale l’atto è stato registrato. Tale copia viene rilasciata apponendo la formula dell’autentica su di un “esemplare” cartaceo del documento informatico fornito dalla stessa parte che chiede la registrazione, con ciò addossando all’Ufficio del Registro il compito di verificare la conformità della copia cartacea rispetto all’originale informatico; cosa che l’intermediario, non essendo pubblico ufficiale a ciò autorizzato (art. 23, comma 2-bis, CAD), non può fare.
4) Chi deve controllare che l'atto di cessione di quote non contenga clausole nulle o annullabili, che ne determinerebbero l'inefficacia (ad es. la mancata previsione di un corrispettivo per la cessione o la mancata autorizzazione di un soggetto incapace)?
Si tratta di uno degli aspetti della nuova procedura sul quale gli studi e le circolari dei commercialisti hanno maggiormente insistito: da un lato è stato affermato che “la norma intende attribuire al commercialista-intermediario una funzione di “filtro” a tutela del pubblico interesse, analoga a quella esercitata dal notaio nell’ambito della procedura tradizionale di deposito dell’atto nella forma di scrittura privata autenticata” (così Enrico Zanetti, Le nuove modalità di trasferimento delle quote di S.r.l. in Il fisco n. 32 del 1° settembre 2008); dall’altro è stato ribadito che il commercialista, anche quando abbia assunto il mero incarico di effettuare il deposito telematico, comunque “è tenuto ad effettuare i seguenti controlli: 1. verifica dell’identità e della capacità di agire delle parti nonché, nel caso di soggetti diversi dalle persone fisiche, dei relativi poteri di rappresentanza; 2. verifica della titolarità, da parte del disponente, dei beni o diritti oggetto del trasferimento, avendo anche riguardo all’eventuale esistenza di regimi di comunione dei beni; 3. controllo della non contrarietà dell’atto al buon costume e all’ordine pubblico.” (così la Circolare 5/IR più volte citata).
Sulla verifica dell’identità delle parti ho già avuto modo di soffermarmi e mi limiterò a ricordare che essa costituisce, nei limiti sopra precisati, un obbligo di legge nascente dalla normativa antiriciclaggio. Sugli altri controlli che il commercialista/intermediario dovrebbe effettuare, osservo invece che tali obblighi non sono previsti da alcuna norma di legge. Con ciò non voglio disconoscere la professionalità del commercialista che, adoperando l’ordinaria diligenza, si farà normalmente carico di verificare che l’atto da lui predisposto (o per il quale abbia ricevuto l’incarico di effettuare il deposito telematico) non contenga clausole invalide o illecite. Voglio invece sottolineare come il compito di effettuare tali verifiche trova la sua fonte in un mandato professionale conferitogli dalle parti (e sempre che non ne sia stato dispensato), o tutt’al più in disposizioni di carattere deontologico, non certo nella legge.
Tale circostanza fa sì che non sia previsto dall’ordinamento alcun meccanismo di controllo da parte di organi dello Stato per verificare che gli atti di trasferimento non contengano clausole nulle o contrarie alla legge, né alcuna sanzione per il caso in cui l’atto di trasferimento contenga vizi che ne determinino l’invalidità. Nessun rappresentante dello Stato si muoverà mai per contestare all’intermediario che l’atto di trasferimento da lui depositato nel Registro delle Imprese contenga una clausola nulla, o che all’atto è intervenuto un soggetto incapace senza autorizzazione del giudice: ricordiamo infatti che, secondo l’orientamento comunemente seguito, il conservatore del registro delle imprese deve limitarsi al mero controllo formale degli atti da iscrivere (in questo senso, ad es. una sentenza del Tribunale di Padova del 16 febbraio 2007: al Conservatore del Registro delle Imprese ed al Giudice del Registro competono solo la formale verifica della corrispondenza tipologica dell’atto da iscrivere rispetto a quello previsto dalla legge, senza alcuna possibilità di accertamento in ordine alla validità negoziale dell’atto).
Per questo motivo, non mi sembra che la funzione di “filtro” dell’intermediario/commercialista possa essere paragonata a quella svolta dal notaio, il quale esercita una funzione di giustizia “preventiva” analoga a quella “successiva” svolta dal giudice, con il quale condivide i caratteri di terzietà, imparzialità e soggezione “soltanto alla legge”, e che è soggetto a tutta una serie di controlli pubblici da parte di organi dello Stato, in particolare da parte degli Archivi Notarili, i quali ispezionano ogni due anni tutti gli atti del notaio ed hanno il potere di avviare procedimenti disciplinari che possono arrivare fino alla destituzione.
5) Nel caso in cui il contratto di cessione venga firmato digitalmente ed inviato al Registro delle Imprese da un commercialista, chi deve provvedere alla registrazione fiscale, e quando?
La Circolare Unioncamere del 22 settembre 2008 prevede espressamente come condizione per poter procedere all’iscrizione dell’atto di trasferimento della quota di S.r.l. la preventiva registrazione dell’atto. La Circolare 58/E dell’Agenzia delle Entrate è interamente dedicata alla definizione delle modalità di esecuzione di tale formalità di registrazione. In particolare, tale Circolare recita testualmente: “Sono obbligate a richiedere la registrazione esclusivamente le parti contraenti, le quali hanno facoltà di avvalersi degli intermediari abilitati o di altri soggetti dotati di procura speciale conferita ex art. 63, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.” In pratica, le parti dovranno provvedere personalmente a registrare l’atto di trasferimento ma potranno delegare il commercialista/intermediario (il quale, peraltro, a differenza del notaio, non è responsabile di imposta e non risponde in alcun modo del versamento delle imposte).
Il termine di registrazione è quello ordinario di venti giorni, che curiosamente viene fatto decorrere dalla data della marcatura temporale anziché da quella dell’atto (un po’ come se il termine di registrazione della scrittura cartacea venisse fatto decorrere dalla data del timbro postale apposto su di essa e non dalla data dell’atto); il che sembra quasi voler legittimare la prassi di predisporre la scrittura senza data per poi munirla di marca temporale nel momento in cui si decide di depositarla nel registro delle imprese (così Sabrina Chibbaro, cit. su Il Sole 24 Ore del 1° novembre 2008).
La procedura escogitata per la registrazione dei documenti da inviare telematicamente si presenta macchinosa ed inefficiente: prevede un gran numero di passaggi “su carta”, ed il confronto tra il file originale e la stampa cartacea è interamente demandato agli uffici, il che richiede dispendio di personale e di tempo. Al riguardo, rinvio all’articolo intitolato “Passaggio di quote, rispunta la carta” sul Sole 24 Ore di Sabato 18 ottobre, a firma Maria Carla De Cesari.
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Adducere inconvenientes non est solvere argumentum: eppure non si può non rilevare come la procedura per il deposito degli atti di trasferimento di quote di S.r.l., così come risultante dall’interpretazione contenuta nelle circolari e negli studi sopra elencati, comporterà numerosi inconvenienti di non poco conto, e ciò soprattutto se si guarda non al momento genetico della formazione dell’atto ed all’ipotesi fisiologica in cui non vi siano contestazioni, ma allo svolgimento dei rapporti successivi tra le parti (ad es. nel caso in cui sia stato convenuto un pagamento dilazionato, o vi sia una condizione sospensiva o risolutiva) oppure al caso in cui sorgano contestazioni tra cedente e cessionario o da parte di terzi (ad es. da parte degli altri soci che contestino il mancato rispetto di una clausola di prelazione o di gradimento, ovvero da parte di altri acquirenti della stessa quota che soccombano per avere effettuato il deposito dell’atto di trasferimento in data successiva).
Proprio in funzione del superamento di questi inconvenienti, oltre che sulla base di solide ragioni di ordine testuale e sistematico, era stata proposta una diversa interpretazione della disposizione del comma 1-bis dell’art. 36 del D.L. 122/2008, secondo la quale il documento informatico sottoscritto con firma digitale e depositato presso il Registro delle Imprese dal commercialista/intermediario dovrebbe comunque essere autenticato da un notaio, ai sensi dell’art. 2470, comma 2°. Cod. Civ. e dell’art. 25 CAD (è la tesi di Enrico Maccarone e Gaetano Petrelli, contenuta nell’articolo “Le cessioni di quote di s.r.l. dopo la conversione del d.l. 112 del 2008”, in Notariato 5/2008, pag. 533, pubblicato anche su questo blog). Tale interpretazione consentirebbe di superare la maggior parte delle difficoltà evidenziate in questo post: l’autentica notarile attesta l’identità delle persone che hanno sottoscritto l’atto, attribuisce all’atto data certa e presuppone il controllo di legittimità preventivo da parte del notaio, il quale dovrebbe provvedere anche alla registrazione dell’atto: al commercialista/intermediario spetterebbe solo il deposito nel registro delle imprese.
Occorre tuttavia riconoscere che questa tesi non ha ricevuto il riscontro che meritava, se non da parte di qualche Giudice del Registro: la prassi operativa delle Camere di Commercio, di fatto, si è orientata nel senso di ammettere il deposito degli atti sottoscritti digitalmente senza autentica da parte del notaio. La norma dell’art. 36, comma 1-bis, del D.L. 112/2008, interpretata in questo senso, tuttavia, pone dei problemi di legittimità costituzionale in relazione all’art. 24 Cost.: ammettendo l’iscrizione in un registro di pubblicità di un documento non avente valore di prova legale, nel senso più volte evidenziato in questo post, verrebbe ad essere leso il diritto alla tutela giurisdizionale delle parti e/o dei terzi controinteressati (si veda in questo senso l’art. del Prof. Paolo Spada su Notariato 5/2008, pag. 538 s., dal titolo “Una postilla in tema di cessione di quote con firma digitale”). Problemi che, invece, sarebbero superati accogliendo l’interpretazione proposta da Maccarone e Petrelli, ovvero ancora introducendo dei correttivi alla nuova disciplina che prevedano l’abrogazione dell’art. 2470, comma 3°, Cod. Civ., nella parte in cui prevede l’efficacia dichiarativa dell’iscrizione nel Registro delle Imprese dei documenti informatici non autenticati.
Ma non è questa la sede più opportuna per trattare di questi argomenti, avendo già troppo abusato della pazienza dei lettori di questo blog nell’esaminare questioni di rara sottigliezza giuridica e di particolare complessità, questioni di cui il nostro frettoloso legislatore non ha apparentemente inteso farsi carico, essendo maggiormente interessato, come purtroppo accade da qualche tempo a questa parte, alle questioni politiche ed economiche piuttosto che non a quelle giuridiche.